Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Matteo Fato
Da dove vieni?
Sono nato a Pescara nel 1979, dove attualmente vivo e lavoro; ho studiato Pittura presso l’Accademia di belle Arti di Urbino, dove da circa 5 anni ho avuto la fortuna di poter tornare come docente di Tecniche dell’Incisione, Disegno Contemporaneo/Monotipo e Tecniche di Doc. Audiovisiva (una materia che abbiamo attivato da 2 anni che si concentra sulla documentazione totale delle opere prodotte dagli studenti in un Portfolio). Nella mia formazione sono state molto importanti, oltre all’Accademia stessa, le esperienze di lavoro all’estero in occasione di progetti di residenze (Francia, America e Norvegia). Ovviamente anche il dialogo con altri interlocutori, artisti e non, resta fondamentale.
Cosa fai?
La mia ricerca si è da sempre concentrata sull’analisi di un’intesa tra immagine e parola, sul momento appena prima che il segno diventi linguaggio riconoscibile. Un “bilico” rappresentativo in cui il segno viene addomesticato e disciplinato affinché possa trovare posa sul limite della realtà. Detto questo in realtà dipingo e basta.
Dove stai andando?
Principalmente ho sempre lavorato attraverso l’utilizzo del disegno, della pittura, dell’incisione e del video. Negli ultimi progetti sviluppati ho avuto modo di confrontarmi con materiali prima considerati solo semplici supporti o strutture, che tendono ora a divenire linguaggio; trovando espressione in una progettualità site-specific. Ma dove sto andando non voglio saperlo sinceramente, o comunque spero di non esserne mai troppo sicuro.
Cosa vuoi?
Lo studio di L. Wittgenstein iniziato alcuni anni fa mi ha aiutato a rileggere le “parole” scritte durante il mio percorso che avevo lasciato tra parentesi e a rivalutarle: per trovare una nuova dimensione “rallentata” nell’osservazione delle “cose” e dello spazio, cercando di inserire i naturali segni di interpunzione di cui il mio linguaggio aveva bisogno.
Citando lo stesso Wittgenstein “Con i miei numerosi segni d’interpunzione, ciò che in realtà vorrei è rallentare il ritmo della lettura. Perché vorrei essere letto lentamente.”. Questo mi ha aiutato a capire che i linguaggi dell’arte rappresentano, in un certo senso, la punteggiatura della vita, e ci aiutano a rallentarne “la lettura”, quindi a riflettere meglio su di essa.
Quello che cerco di rappresentare è un tentativo di mettere in scena un allestimento per la pittura. Una natura morta del linguaggio, una “cosa naturale” della parola, per chiamare in causa Vasari. Insomma, quello che voglio è poter continuare a lavorare: è la pittura che mi fornisce “parola”, altrimenti sarei muto. E’ durante la pittura che la parola prende forma.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso