ARTE IN SALDO OVVERO, GLI OH BEI! OH BEI! DELL'ARTE CONTEMPORANEA
di Alessandro Trabucco
L'impazzare delle mostre natalizie è proprio un segno del nostro tempo, scaduto.
Minuscoli, piccoli e medi formati, a prezzi accessibili a tutti, è il trend del momento, la nuova formula delle mostre natalizie che, apparse già da qualche anno, ora stanno impazzando e monopolizzando soprattutto un certo tipo di arte e di mercato. Mostre-mercato senza ovviamente un progetto e, apparentemente, senza una precisa selezione degli artisti coinvolti, in quanto metodologie estranee allo scopo commerciale dell’operazione, ed è comprensibile.
Piuttosto che perdere tempo chiedendosi il perché di tali operazioni, abbastanza chiaro e dichiarato nella formula stessa dell’esposizione, bisognerebbe capire come mai certi artisti entrano in alcune gallerie solo in queste occasioni per poi ri-uscire dalla porta principale senza ricevere più nessuna interessante proposta da sviluppare. Sembra che il loro lavoro risulti buono solo in quel preciso contesto restando invece non convincente in situazioni più dense di significato, quali una personale o una collettiva su un progetto curatoriale.
L’artista si trova quindi a dover scegliere se partecipare o meno, avendo a disposizioni ben due accattivanti e convincenti tentazioni, la prima quella di poter esporre in una galleria nella quale probabilmente non potrebbe, come già accennato, in altre occasioni più significative (e mostra da mettere rigorosamente in curriculum, anche se ha un titolo improbabile o addirittura ridicolo) e poi, ancora più importante, la possibilità concreta di vendita del proprio lavoro, avendo acquirenti incoraggiati dalla situazione festaiola e dai prezzi ribassati. Il problema è proprio nei prezzi ribassati, questa sorta di non identificata “democratizzazione” dell’arte. Si è passati dai “falsi d’autore”, alle riproduzioni in serie dei vari “Kandinsky”, “Monet”, “Klimt”, “Modigliani” e “Warhol” (d’altronde siamo o non siamo nell’epoca della riproducibilità tecnica…?) che campeggiano trionfalmente negli ambulatori dei medici, come nelle sale d’attesa degli ospedali, oppure nei bar.
Ora, possiamo avere la nostra bella “opera originale”, senza dover ricorrere ai surrogati sopra citati.
Anche se ci fosse un capolavoro, sarebbe impossibile distinguerlo. E' vero che queste iniziative non si propongono di offrire dei "capolavori" agli acquirenti bensì, ahimé e purtroppo, dei semplici "regali di Natale", ma il contesto e' in grado di svilire quasi completamente ogni pretesa di gusto, presentando esclusivamente i lavori “minori” di un artista o gli avanzi di magazzino invenduti, spesso, ma non sempre, di seconda o terza scelta, come nel periodo dei saldi.
Ricordo un tentativo ancor più drammatico tentato molti anni fa, quando ancora c’erano le lire: “Il supermarket dell’arte” (idea spagnola se non ricordo male) organizzato come un vero e proprio discount con tanto di carrelli e lista delle opere con i relativi vantaggiosissimi prezzi. Tutto era disposto in modo ordinato, ogni "artista" aveva il suo "spazio espositivo" con tanto di cesti con le opere accatastate, incelofanate e "prezzate" come in un vero e proprio supermercato. Anche in quella occasione risultava difficilissimo capire il criterio con il quale erano stati imposti i prezzi ai vari lavori. Si andava da un minimo di 149.000 lire (ma mi pare ci fossero lavori alla modica cifra di 49.000 lire) ad un massimo di 399.000 lire (i commercianti, si sa, adorano il numero 9, questa tecnica, tutt’ora ben utilizzata, di aggirare le cifre tonde).
È il prezzo il vero tasto dolente, faceva bene Yves Klein quando vendeva quadri tutti uguali ma con prezzi diversi, perchè ciascuno di essi conteneva una differente tensione creativa ed esecutiva.
La crisi, questo spauracchio che ha seminato ansia, eccessiva prudenza e che ha frenato gli entusiasmi economici e creativi, dicono stia finendo, senza tra l’altro aver mai provato, senza ombra di dubbio, che realmente ci fosse. Un terrorismo psicologico per fare un po’ di piazza pulita? Un modo per uniformarla ancora di più invece di selezionarla, la qualità, perché è tipico dei momenti di crisi trovare i compromessi ideali per restare a galla e non prendere le decisioni giuste, ponderate, coraggiose e responsabili.
L’Arte, invece di avvantaggiarsene, ne esce ancora più svilita perché accomodante, senza contestare, e perdendo continuamente l’occasione di educare al gusto, alla qualità, alla ricerca, imponendo la propria legge e non quella del mercato.
Ma le mostre natalizie per l’amante dell’arte sono un’occasione così ghiotta di dimostrare che la si ama e che la si acquista con occhio “esperto”, da essere ormai indispensabili, e non sarà certo un articoletto leggero e “natalizio” come questo a far riflettere più di tanto…
Ma non penso sia colpa dei galleristi e nemmeno degli artisti che accettano di cedere a questi compromessi, manca una certa fiducia e il coraggio, e le gallerie sono costrette a ricorrere ad “estremi rimedi” in grado di sopperire alle difficoltà di vendita nelle varie fiere o nella loro stessa sede espositiva e favorendo un degrado culturale abbastanza preoccupante. Grazie Warhol, come sempre hai ragione tu, “l’arte è (“solo” nda) un prodotto da vendere”.
[Less is more (Mies van der Rohe) - la Rubrica di Alessandro Trabucco
n. 02 - “Arte in saldo, ovvero, gli oh bej! oh bej! dell’arte contemporanea"
- pubblicato su lobodilattice il 28/12/2009]