Bernardo Bertolucci e Niccolò Ammaniti. Il maestro del cinema italiano mette in scena l’ultimo romanzo dello scrittore romano con un risultato “alla Bertolucci“. Un racconto ben fatto, equilibrato per stile, parole, personaggi, introspettivo, ma anche spettacolare, nelle sue piccole forme. Da Niccolò Ammaniti, che dopo “Io e te” ha pubblicato un altro racconto, “Il momento è delicato”, il cinema ha attinto e realizzato, con questo, ben cinque film ( L’ultimo capodanno, Branchie, Io non ho paura e Come dio comanda).
Dunque cinema e letteratura a confronto. “Io e te” è un romanzo breve, soprattutto rispetto ai precedenti romanzi di Ammaniti, ma forse è il più doloroso per l’autore, che si lascia alle spalle personaggi surreali da racconto da bar, storie crude e violente, o pacate ma profondamente dure, gruppi di persone, racconti collettivi, tragedie finali, violenze, malesseri interiori, bambini e adulti, uomini e donne, per, finalmente, spogliarsi, e raccontare parte di se stesso. “Io e te” non è infatti una vicenda corale, o fatta di piccoli e grandi racconti, ma una storia sottile, lineare e apparentemente semplice, quella di Lorenzo, adolescente un po’ “fuori dal gruppo”, solo e solitario, con una famiglia a cui è legato e che lo ama, ma da cui cerca di evadere, come è normale a quell’età. Lorenzo finge di essere stato invitato in settimana bianca a Cortina dagli amici per …chiudersi nella cantina di casa, attrezzato con libri e fumetti, cibarie (scatolette di tonno, Simmenthal, coca cola, Nutella…), coperte, la play station. Un atto di fuga studiato per potersi specchiare nella propria fragilità interiore e nelle piccole ossessioni di un adolescente introverso. Lui, neo “giovane Holden” ma più interessato alla propria storia personale che a ribellarsi al mondo. “Lorenzo tu sei come le piante grasse, cresci senza disturbare, ti basta un goccio d’acqua e un po’ di luce”, le parole di una vecchia tata di quando era piccolo. Ossessioni e isolamento che Lorenzo, grazie a un’inaspettata visita a sorpresa, a fine storia sente di voler superare. La sorellastra Olivia (interpretata da Tea Falco, perfettamente aderente al personaggio), giovane, bella, raggiante, complessa, diversa da lui, gli ripiomba nella vita quasi da sconosciuta. La sorellastra è inaspettata e shockante all’impatto, che nel romanzo e nel film avviene nello stesso modo, con una sola differenza: nel libro Lorenzo riceve una telefonata poco prima, per caso. Nel film invece Olivia piomba in cantina per cercare un vecchio scatolone e che dovrebbe custodire dei soldi, e trova Lorenzo. Le parole di Ammaniti aiutano a capire, dopo l’irruenza di Olivia nella cantina, anche il suo stato: “seduta sul letto c’era Olivia. Era molto dimagrita e le erano usciti fuori gli zigomi squadrati. Aveva il volto tirato e stanco … non era più bella come due anni prima”. Il maestro cineasta che non dispone della descrizione a parole, risolve secondo cinema l’episodio: le immagini si svelano pian piano e la dichiarazione della dipendenza da eroina, è l’ultimo, naturale, automatico anello. Bertolucci è abbastanza esperto da riuscire a sorpassare la parola col silenzio dell’immagine… alla Bertolucci. Poi, arriva la musica a sostenere e accentuare, ma è una pulita regola del cinema.
Il ritrovo, lo spiazzamento e due strade che si incrociano in un solo unico e ristretto spazio: la strada di Lorenzo, adolescente che “deve” tirarsi fuori e quella di Olivia, la sorellastra allontanata dalla famiglia perché tossica, che finalmente si ferma perché forse ha trovato un appiglio. Ecco che rimane lì, col fratello di nove anni più giovane, per liberarsi dall’eroina, e per …sopravvivere. Nella cantina Lorenzo, che si era pianificato la settimana da rifugiato solitario, condivide invece con Olivia momenti di rabbia e di lucidità di affetto, di dolore e di sofferenza fisica e morale. Una sorta di rehab tra fratelli che mai lo erano stati e che, lentamente, scoprendo pregi e debolezze, si uniscono e cercano una comune soluzione. Ammaniti e Bertolucci raccontano questo ri-incontro senza fronzoli e senza uscire dalle righe. Bertolucci non proietta la propria ombra sopra il romanzo, ma lo rispetta, anche con le poche differenze che apporta, più congeniali e veloci per il film, dettagli che non mutano la sostanza: la settimana bianca nel film è organizzata dalla scuola, nel romanzo sono amici che non hanno invitato Lorenzo a Cortina. Le differenza carta-pellicola sono dettagli di luoghi e spazi: nel film il divanone di velluto rosso sopra cui Olivia soffre e dorme, e sembra guarire, da Ammaniti è descritto “con i fiorelloni”; nel film Olivia racconta di Bali, nel libro della Maremma. Ma sono dettagli, appunto. Perché Bertolucci la sostanza la privilegia, magari la ottimizza come nel dialogo in macchina fra madre e figlio e nel ballo tra i due fratelli, quando finalmente diventano “io e te”, e accorciano la distanza. Distanza che forse si riforma alla fine della settimana passata insieme, quando si salutano e prendono direzioni diverse: Lorenzo torna verso casa, pieno di buoni propositi per il futuro. Mentre Olivia intraprende speranzosa un’altra strada, dopo essersi “ripulita”.
Attenzione spoiler
E Bertolucci lascia il finale aperto, perché lei, dopo il giuramento fatto al fratello di “non farlo più”, l’eroina se la procura di nuovo, ma non la usa, in quello scantinato. Nel libro leggiamo “oggi, dopo dieci anni, la rivedo per la prima volta da quella notte …. Un portiere mi indica dove andare. Apro la porta a vetri … La stanza è grande, coperta di mattonelle bianca. Fa freddo. Mia sorella è stesa su un tavolo. Un lenzuolo la copre fino al collo. Mi avvicino. – È lei? La riconosce ? -” .