di Ivan Quaroni
“La retina rende tutto contemporaneo” (Paul Valéry)
Nessuno sa che cosa sia esattamente l’arte contemporanea. Convenzionalmente, si ritiene che tale definizione si riferisca alle espressioni artistiche emerse tra la nascita delle Avanguardie storiche e i nostri giorni, ma è evidente che tale periodizzazione dovrà alla fine concludersi. E allora, che cosa ci sarà dopo? Un’arte post-contemporanea? La definizione è ambigua e problematica per costituzione, innanzitutto perché comprende una pletora variegatissima di tendenze, espressioni, modi e mezzi antitetici. Ha il difetto di non designare una linea di pensiero dominante e, inoltre, non convince quell’aggettivo, “contemporanea”, che allude alla presenza simultanea di molti fattori, ma che lascia sostanzialmente irrisolto il problema di stabilire (se c’è) una qualità specifica. Tutta l’arte, in ogni epoca, è stata a un certo punto “contemporanea”, cioè coeva ai suoi primi fruitori. E, dopotutto, contemporanea è, oggi, tanto l’arte del presente quanto quella del passato, giacché possiamo ancora fruirne, anche se gli artisti che l’hanno creata sono estinti. Le opere di Leonardo, Raffaello, Michelangelo, o almeno quanto ci è pervenuto della loro produzione, sono disponibili tanto quanto quelle di Jeff Koons, Maurizio Cattelan o Matthew Barney. Sono tutte presenti, qui, contemporaneamente, per essere viste (ed esperite) dalla platea dei visitatori di questa epoca. Forse ha ragione Vittorio Sgarbi, quando, fuori dai comuni schemi di lettura del sistema dell’arte, sostiene che essa è tutta contemporanea: quella antica, quella medievale, quella moderna e quella presente. È una questione delicata, che la storiografia artistica ufficiale dovrà risolvere. Ma, intanto, noi possiamo interessarci alle ricerche odierne, consapevoli che le limitazioni terminologiche ci obbligano a vagliare la qualità del lavoro sulla base della loro maggiore o minore attinenza alle condizioni storiche, economiche, sociali e politiche attuali, tenendo conto che i valori dell’artista e quelli della collettività possono coincidere oppure – come più spesso accade – confliggere.
Nel momento in cui Leonardvs Bottega d’Arte si confronta, per la prima volta, con l’ambito delle ricerche di artisti di età inferiore ai quarant’anni, non possiamo che costatare come la giovane arte italiana non abbia un unico volto, ma piuttosto si muova lungo molteplici direttive, spostandosi in avanti, verso il futuro, e indietro, verso il passato, avendo come base di partenza soltanto il presente. Sarebbe infruttuoso stabilire una scala di valori in cui le espressioni formalmente più audaci siano collocate alla sommità e quelle nostalgiche alla base. Non è infrequente, infatti, che certe sperimentazioni formali si dimostrino sterili, laddove certe riletture del passato danno prova di una grande adesione al presente. Per usare una felice espressione di Jean Clair, la varietà linguistica della giovane arte italiana, riflette le disjecta membra[1]della realtà, denota la natura frammentaria e parcellizzata del flusso temporale entro cui siamo tutti, inevitabilmente, immersi. L’arte è un sistema di segni in continua evoluzione, che cambia al mutare dei tempi. Dedicarsi all’arte oggi significa intraprendere un viaggio d’indagine e analisi in grado di svelare nuove, e forse più adatte, scelte espressive. Ciò che conta è la capacità dell’artista di trovare soluzioni e prospettive adeguate allo spirito dei tempi. In fin dei conti, l’arte, nel suo complesso, è un patchwork di umori, atmosfere, intuizioni capaci di riflettere solo una porzione assai limitata del mondo contemporaneo.
La sfida rappresentata da questa mostra, che speriamo costituisca il primo capitolo di una fruttuosa documentazione delle forze vitali ed emergenti dell’arte italiana, consiste nel mettere insieme un campione delle varigate e contrastanti esperienze che compongono la scena contemporanea. E, infatti, i sei artisti qui presentati non potrebbero essere più diversi tra loro. Silvia Argiolas (Cagliari, 1977), Elena Monzo (Brescia, 1981), Carlo Alberto Rastelli (Parma, 1986) e Tommaso Santucci (Pisa, 1981) si muovono nell’ambito della pittura, Ester Pasqualoni (Roma, 1980) si dedica a scultura e installazione, mentre Serena Zanardi (Genova, 1978) affianca ai linguaggi tridimensionali anche il video e la fotografia.
Nasce dalla disamina di stati emotivi e, quindi, da un’originale percezione delle esperienze individuali, la ricerca di Silvia Argiolas, caratterizzata da un’intensa espressività che sa conciliare la struttura del racconto episodico con l’impulso a liberare le energie del segno, della traccia, della materia, anche nell’uso promiscuo di diverse tecniche pittoriche. Attraverso una serie di autoritratti, sovente immersi in una natura selvaggia e umbratile, Argiolas denuncia la fragilità dell’essere umano e mette a nudo istinti e pulsioni che la società civile vorrebbe reprimere, o contenere, in atteggiamenti falsamente pudici. Invece, nei lavori dell’artista assistiamo all’emancipazione delle forze più profonde (e oscure) della natura umana, attraverso una sorta di catarsi liberatoria di emozioni ed energie primordiali. Diversa per linguaggio e stile dall’arte di Carol Rama, eppure straordinariamente affine nell’urgenza dei contenuti, la pittura di Silvia Argiolas ricopre oggi un ruolo unico e dissonante nel panorama dell’arte italiana femminile.
È una forma di scrittura visiva, che contiene frasi e notazioni grafiche e pittoriche, quella di Tommaso Santucci, un’arte strettamente correlata alla vita quotidiana in ogni suo aspetto. L’artista usa penne a sfera, pennelli e pennarelli, ma anche pigmenti, per registrare il proprio vissuto sui più diversi supporti: scotch di carta, pezzi di cartone, tele e materiali di recupero. Di fatto, le sue opere sono composizioni, assemblaggi che denotano un gusto per l’accumulo e la stratificazione, ma anche per una fertile, originale combinazione di stili e linguaggi. A emergere è soprattutto l’immediatezza di una grammatica che tenta di restituire la fragranza del momento e insieme, l’irripetibilità dell’esperienza vitale attraverso lacerti di scrittura, scarabocchi, disegni, macchie di colore oppure marchi, simboli e insegne dipinte secondo una logica associativa che rimanda tanto alle sperimentazioni dadaiste e surrealiste, quanto all’istintiva spontaneità del graffitismo urbano.
Meditata e progettata è la pittura di Carlo Alberto Rastelli, tutta intesa a rileggere i generi del ritratto e del paesaggio con una sensibilità attenta al dettaglio realistico, ma anche alla costruzione di pattern geometrici e tessiture astratte. In particolare nei ritratti, l’attitudine mimetica, quasi iperrealistica, s’intreccia con il gusto caricaturale per l’ipertrofia e la deformazione, che traduce le fisionomie di amici e conoscenti in un’allucinata galleria di tipologie caratteriali dove è lecito scorgere l’amore dell’artista per i corpi tumefatti di Lucian Freud e per le anatomie irregolari di John Currin, ma anche per gli anti eroi dei romanzi di Irvin Welsh e Bret Easton Ellis. Un elemento che ricollega il lavoro di Rastelli con le esperienze neofigurative italiane dello scorso ventennio è, invece, rintracciabile nell’influenza che i cartoni animati e il cinema di fantascienza hanno esercitato sul suo modo di concepire la rappresentazione. Soprattutto nei paesaggi, anch’essi segnati da inquadrature grandangolari, si avverte la predilezione per una natura apocalittica (e catastrofica) che sta all’incrocio tra le visioni distopiche di Philip Dick o James Ballard e i sublimi scenari naturali di Caspar David Friedrich.
La ricerca di Elena Monzo è ancorata a una solida base disegnativa e sviluppa il gusto lineare del Secessionismo viennese e dell’Orientalismo fin de siecle in direzione di un espressionismo estremo. L’approccio sperimentale dell’artista, evidente negli innesti materici di carte metalliche, imballaggi di cartone, veline, garze, pizzi, unghie finte e fiocchi, si accompagna all’interesse, quasi esclusivo, per un’iconografia femminile perturbante composta di caratteri folli e diabolici. Le sue Dee, cortigiane, contorsioniste, prostitute, geishe – donne più fatali che letali -, sono impegnate in azioni ambigue ed equivoche e hanno spesso posture contorte, spasmodiche che alludono alle convulsioni provocate da un dolore lancinante o da un’irrefrenabile pulsione erotica. Elena Monzo è riuscita a inventare un universo sulfureo e inquietante che piacerebbe a David Lynch e a Peter Greenway, un mondo fatto di eroine psicotiche e allucinate, violente e instabili, ma anche magnificamente emancipate e perversamente moderne.
Artista multidisciplinare, che spazia dalla fotografia al video all’installazione, Serena Zanardi si è recentemente concentrata sulla produzione di opere in terracotta e ceramica. Le sue sculture sono il prodotto di un processo di rielaborazione di ricordi personali e di fotografie tratte da album di famiglia o recuperate nei mercatini dell’antiquariato. Zanardi cerca di ridare vita a immagini anonime, la cui memoria è stata cancellata dal passaggio del tempo, fornendo loro una nuova identità plastica. La riproduzione fedele e mimetica di soggetti fotografici in forme monumentali passa attraverso un’operazione di replacement ambientale, che rivitalizza le immagini, collocandole in un nuovo contesto. Ad esempio, in Pic Nic (2013) il petit dejeuner si svolge ironicamente sullo sfondo di un cestino per vivande in scala reale, mentre le educande di Un grand sommeil noir (2012) sono sdraiate su un immaginario tappeto d’erba che, però, ogni volta assume i connotati della superficie su cui la scultura è posata. Più spesso, come si vede in Carezze al lago (2013) e in Be Forest #1 (2014), a dominare le opere di Serena Zanardi è l’atmosfera malinconica e un po’ fané dei vecchi dagherrotipi o dei ricordi in bianco e nero.
In bilico tra scultura e design, la ricerca di Ester Pasqualoni è, invece, tesa alla costruzione di volumi essenziali, geometricamente scanditi da ordinate linee e contorni nitidi. Sono oggetti di alluminio e plexiglas, per lo più quadrati o cubici, concepiti come contenitori o espositori di un campionario di frammenti oggettuali. Si tratta prevalentemente di brandelli di plastiche recuperate, usate per il packaging di prodotti di largo consumo, di cui l’artista valorizza le qualità di lucentezza, trasparenza, texture, colore e consistenza. Una volta trattati e suddivisi in diverse tonalità cromatiche, i frammenti plastici sono inseriti all’interno dei contenitori in comparti regolari, oppure sono sospesi su linee parallele di fili di nylon a formare una fitta griglia tridimensionale. L’obiettivo dell’artista è di far dialogare le sue strutture geometriche (e pensili), incarnazioni plastiche dell’immaginario della pittura astratta, con la luce e con lo spazio. A differenza, però degli artisti ottici e analitici degli anni Sessanta, Ester Pasqualoni non è interessata solo all’analisi dei meccanismi percettivi e dei fenomeni luministici, ma anche alla trasmissione di nuovi valori etici ed estetici.
[1] Jean Clear, Critica della modernità, p. 14, Umberto Allimandi & C., 1984, Turin.
Six overviews on the present
by Ivan Quaroni
“La rétine fait toutes choses contemporaines”
(Paul Valéry)
Nobody knows exactly what contemporary art is. Conventionally, it refers to artistic expressions dating from the birth of the historical Avant-garde to the present. However, such periodisation will have to come to an end. What will come next? Post-contemporary art? The definition of contemporary art itself is ambiguous and problematic. First of all it involves a highly varied plethora of antithetical trends, expressions, ways and means. Secondly, it does not denote a leading line of thought. Thirdly, the adjective “contemporary” is not convincing, for it refers to the simultaneous presence of many factors, without solving the problem of a specific quality. After all, the art of every period has been “contemporary” at a given moment, that is, coeval to its first users. Furthermore, the art of the present is as contemporary as the art of the past since we can still enjoy it even if the artists who created it are dead. The works of Leonardo, Raffaello, Michelangelo, or at least what we have of their production, are as available as the works of Jeff Koons, Maurizio Cattelan or Matthew Barney. All these works are here, contemporary, to be seen (and experienced) by the audience of the present age. Maybe Vittorio Sgarbi is right when, far from common interpretations of art, claims that all art is contemporary: ancient, medieval, modern and current art. It is indeed a difficult matter to be solved by official art historiography. Meanwhile, we can look at current works being aware of terminology restrictions which force us to consider its quality according to its relevance to current historical, economic, social and political conditions, bearing in mind that the artist’s values and the community’s values can either fit together or, as it often happens, collide.
For the first time, Leonardvs Bottega d’Arte is dealing with the research of artists under forty, showing us that young Italian artists do not have one face but many faces, moving forward, to the future, backwards, to the past, but keeping the present as their starting point. It would be useless to establish a scale of values with the most formally daring works placed at the top and the most nostalgic ones at the bottom. In fact, some formal experiments may be unfruitful, while a new interpretation of the past can be incredibly up-to-date. Borrowing the words of Jean Clair, the linguistic variety of the young Italian art reflects the disjecta membra[1] of reality, it shows the fragmentary nature of the flow of time we inevitably live in. Art is a constantly changing system of signs, which changes with the times. Being into art today means to set off a journey of reseach and analysis which may reveal new and even more suitable expressive choices. What really matters is the artist’s ability to find solutions and perspectives suitable to the spirit of the times. Ultimately, art itself is a patchwork of moods, atmospheres and intuitions which can show us just a limited part of the contemporary world.
The challenge of the present exhibition is to bring together samples of the varied and contrasting Italian contemporary scene – and we hope this is only the first step. In fact, the six artists presented here could not differ more from each other. Silvia Argiolas (Cagliari, 1977), Elena Monzo (Brescia, 1981), Carlo Alberto Rastelli (Parma, 1986) and Tommaso Santucci (Pisa, 1981) work in the painting field, Ester Pasqualoni (Roma, 1980) focuses on sculpture and installation art, while Serena Zanardi (Genoa, 1978) works with three-dimensional forms, video and photography.
Silvia Argiolas’s research comes from an accurate examination of emotional states, that is, from an original perception of individual experiences. Her work has an intensive expressiveness which blends the structure of episodic narration into the impulse of freeing the energy contained in signs, hints, matter, and even in the promiscuous use of different pictorial techniques. Through a series of self-portraits, often plunged into a dark and wild nature, Argiolas denounces human frailty and takes the wraps off instincts and drives which civilized society would like to repress or restrain with falsely modest behaviours. Instead, the artist’s works free the deepest (and darkest) forces of human nature through a sort of catharsis of primitive emotions and energies. Silvia Argiolas’s painting is different from Carol Rama’s in language and style, though they share the pressing contents. Today, Argiolas’s work plays a unique and discordant role in the Italian female art scene.
Tommaso Santucci’s art is a form of visual writing, containing sentences, graphic and pictorial signs, with a close link to everyday life. The artist uses ballpoint pens, brushes and felt-tip pens, but also pigments, to convey his life experiences, on different surfaces: paper tape, pieces of carton, recycled cloth and other recycled materials. His works are compositions and assemblages which show, on the one hand, his predilection for piling up and layering and, on the other, a productive and original combination of styles and languages. A structural order comes out, trying to return the freshness of the moment, the uniqueness of vital experience, through chunks of writing, scribbles, drawings, stains of colour, or brands, symbols and signboards painted with an associative logic which recalls both dadaistic and surrealistic experiments and instinctive urban graffiti.
Carlo Alberto Rastelli presents a pondered and planned painting, aiming at revisiting portrayal and landscape genres, with a sensitivity to realistic details and also to the construction of geometric patterns and abstract weavings. In his portraits, in particular, his mimetic aptitude, almost hyperrealistic, meets a caricatural predilection for hypertrophy and deformation, which transforms his friends’ and acquaintances’ physiognomy into a crazed gallery of personality types where we can notice the artist’s love for Lucian Freud’s tumefied bodies and John Currin’s deformed bodies, but also for the anti-heroes of Irvin Welsh’s and Bret Easton Ellis’s novels. Furthermore, one element which links Rastelli’s work to the Italian Neo-figurative experience of the past twenty years can be found in the influence cartoons and science-fiction cinema have on his concept of representation. Particularly in lanscapes, characterised by wide-angle framings, we can see his apocalyptic (and catastrophic) vision of nature, which stands between Philip Dick’s or James Ballard’s dystopic visions and Caspar David Friedrich’s sublime natural settings.
Elena Monzo’s research is grounded to a solid drawing base and develops the linear taste of Vienna Secessionist movement and fin-de-siecle Orientalism, towards an extreme expressionism. The artist’s experimental approach, clearly visible in the combination of materials (metallic cards, carton packaging, tissue paper, gauze, lace, artificial fingernails and bows) goes along with her almost exclusive interest for an upsetting female iconography made of crazed and devilish features. Her goddesses, courtesans, contortionists, prostitutes and geishas – femmes fatales more than femmes letáles -, are engaged in ambiguous and equivocal actions and often have twisted, spasmodic postures, which recall the convulsions caused by a piercing pain or an irrepressible erotic impulse. Elena Monzo has been able to create a sulphurous and worrying universe, in line with David Lynch’s and Peter Greenway’s vision, a world of psychotic, crazed, violent, unstable heroines, who are also wonderfully emancipated and perversely modern.
Serena Zanardi is a multidisciplinary artist, who works with photography, video and installation. She has recently focused on terracotta and pottery. Her sculptures come from the processing of personal memories and photos taken from family albums or antiques markets. Zanardi tries to revitalise anonymous images, whose memory has been erased by time, giving them a new plastic identity. Faithful and mimetic reproduction of subjects appearing in photographs implies the replacement of their environment, a process which revitalises the images in a new context. For example, in Pic Nic (2013) the petit dejeuner takes place with a real scale picnic basket in the background, while the pupils of Un grand sommeil noir (2012) are lying on an imaginary grass carpet which assumes the characteristics of the surface on which the sculpture is placed. Often, a melancholic, a bit fané, atmosphere dominates Zanardi’s work, as in Carezze al lago (2013) and Be Forest #1 (2014), an atmosphere which belongs to old daguerreotypes or black and white memories.
Ester Pasqualoni’s research is in the balance between sculpture and design, aiming at the creation of essential volumes, which are geometrically divided by tidy lines and clear borders. They are objects made of aluminium and plexiglass, mainly squares or cubes, created as containers or displays for a collection of pieces of objects. There are chunks of recycled plastic packaging from convenience goods, whose brightness, transparency, texture, colour and consistency are valorised. Once treated and divided according to colour, these chunks are placed in containers, inside regular spaces, or hanging on parallel nylon threads, forming a dense three-dimensional web. The aim of the artist is to create a dialogue between her geometric (and hanging) structures, plastic embodiment of abstract painting, with light and space. Unlike 60s Optical and Analytical Artists, Ester Pasqualoni is not only interested in the analysis of perceptive mechanisms and optical phenomena, but also in promoting new ethical and aesthetical values.
[1] Jean Clear, Critica della modernità, pag. 14, Umberto Allimandi & C., 1984, Torino.
Info:
6 Visioni
a cura di Ivan Quaroni
Leonardvs Bottega d’Arte
Via Marina di Ponente 1, Sestri Levante (GE)
Opening: Domenica 6 dicembre, ore 17.00
Dal 6 dicembre 2015 al 10 gennaio 2016