ACADEMY AWARD 2015 /// SERATA di stelle, senza stelle

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di Pino Farinotti. SERATA DELLE STELLE, SENZA STELLE

Ecco la cinquina dei nomi che si contenderanno l’ Oscar come attore protagonista, un riconoscimento che nello spettacolo vale il Nobel. I nomi, tre americani: Michael Keaton, un veterano di Hollywood – si è appena aggiudicato il Golden Globe con “Birdman”- concorre per lo stesso ruolo. Steve Carell (Foxcatcher); Bradley Cooper (American Sniper). Due londinesi: Eddie Redmayne, (La teoria del tutto); Benedict Cumberbaatch (The Imitation Game). Mai, in tutta la storia degli Oscar, c’erano state… meno stelle. Spesso l’Academy Awards è nato all’insegna del paradosso, e mai come quest’anno. Una premessa: tutti i nominati sono attori all’altezza. Se devo dare una preferenza indico Eddie Redmayne, nel ruolo di Stephen Hawking, il fisico, filosofo, matematico geniale, colpito da artrofia muscolare progressiva, una malattia che concede all’essere umano sono una funzione, il cervello. Redmayne ha fornito una performance strepitosa. (Mymovies.it, lunedì 2 febbraio 2015)

Va detto che quel tipo di ruolo, con patologie, invalidità e tare è favorevole alla prestazione dell’attore, presenta registri estremi da esplorare. Gli Oscar hanno spesso onorato quei ruoli. Qualche esempio: Cliff Robertson (I due mondi di Charly); Jack Nicholson (“Qualcuno volò”); Dustin Hoffmann (Rain Man); Daniel Day Lewis (Il mio piede sinistro); Tom Hanks (Philadelfhia). Fra gli altri. L’altro paradosso è la bellezza, come un codice fondamentale del cinema. “Bellezza” non significa Apollo, significa appeal superiore, eroe, modello per l’identificazione, magari per il sogno. Insomma tutto ciò che deve appartenere a una stella. Nei cinque prescelti c’è qualità, e c’è … normalità. Inoltre potrebbe accadere, ed è un altro paradosso, che Redmayne vinca l’Oscar, lui, quasi una new entry, mentre un Leonardo DiCaprio, protagonista di almeno una dozzina di ruoli da Oscar, ancora una volta non venga riconosciuto.

Sono le strane regole dell’”Academy”. Confronti con altre “cinquine”, magari di serate lontane, finiscono per essere improprie, se non imbarazzanti. Da quando è nato, nel 1929, l’Oscar è stato attribuito a molte divinità del cinema. Non a tutte. I selezionatori hanno posto attenzione proprio alla bellezza, nel concetto che ho detto sopra, “apollo”. Nel senso che spesso l’hanno derubricata, diciamo così. I “bellissimi” lo dico meglio, i “troppo belli”, sono stati penalizzati. Alludo a divi amatissimi, come Errol Flynn, Robert Taylor, Tyrone Power, Alan Ladd, Tony Curtis, Rock Hudson George Peppard: nessuno di loro si è visto premiato. Poi c’erano i “belli e bravi”, dall’enorme appeal: Gary Cooper, Clark Gable, Humprey Bogart, Gregory Peck. Premiati. Insieme ad altri, naturalmente. Alan Pakula, per il suo Tutti gli uomini del presidente, aveva assunto Robert Redford e Dustin Hoffman. Diceva: “uno è bravo e l’altro è bello, dunque coppia perfetta”. In realtà era “bravo” anche Redford, e come. La frase di Pakula identifica vagamente il concetto di premio Oscar. Ma quei due richiamano qualcos’altro. Fanno parte dei ragazzi del ‘37 l’anno del sortilegio, un vero fenomeno. Nel 1937 oltre a Redford, e Hoffman, sono nati Warren Beatty, Jack Nicholson, Anthony Hopkins. E ci metto anche una signora, Jane Fonda. Gli Oscar sono caduti a pioggia su quella classe. Lascio all’utente il piacere della ricerca su Mymovies. Un dato però lo fornisco: i due “bellissimi”, Redford e Beatty la statuetta l’hanno ottenuta come registi. Ma non credo che se ne siano dispiaciuti. Anzi.

Ragionando per picchi e per assoluti, a ritroso, la generazione successiva alla prima del sonoro, quella dei Cooper e dei Gable appunto, portò un’evoluzione di contenuti, meno spettacolo e happy end, più profondità e “sociale”. Oscar ad attori come Burt Lancaster e William Holden. E poi si approda all’Actors’ Studio a quelli che non si limitarono a una riforma, ma fecero una rivoluzione. Brando e Newman, premi Oscar. Clift, il primo profeta, ignorato. Dean, morto a 24 anni, ma certo un premiato in pectore per il futuro. E qui inserisco un altro simbolo, quello sessuale. Che certo appartiene a tutti o quasi i nomi che ho fatto. E credo di poter dire che l’occhio femminile, seppur benevolo, avrebbe esitazioni ad applicare ai cinque contemporanei quella definizione. Va detto che nel cinema contemporaneo non mancano i sex symbol, eppure sono stati accuratamente aggirati in questa selezione e in quelle recenti. Gente che non ha un grande rapporto con l’Oscar. Brad Pitt viene accreditato di una statuetta, ma come co-produttore (insieme ad altri) di “12 anni schiavo”; Leonardo DiCaprio, l’attore di maggiore appeal e talento del cinema americano è stato, come ho detto, volutamente ignorato; Tom Cruise deve accontentarsi di qualche nomination; vale anche per Johnny Depp, e George Clooney presenta un Oscar ma come non protagonista (Syriana). Tutti … belli. Una citazione per uno che, in queste chiavi, va ritenuto una sorta di anomalia: Daniel Day-Lewis. E’ primatista assoluto con tre Oscar (Il mio piede sinistro, Il petroliere, Lincoln) come attore protagonista. Nessuno, appunto, come lui. Infatti presenta una grazia superiore, tattile. Basta pensare all’impressionante performance di Lincoln. Adesso abbiamo questi cinque.

Qualcuno ha scritto “gente che possiamo trovare seduta vicino a noi al pub”. Forse il popolo del cinema ambisce a qualcosa di più. Ambisce alla “bellezza”. Comunque questa “normalità” è certo un segnale, preciso, del nostro tempo e della funzione del cinema attuale. Mentre un volta le opzioni del cinema erano semplicemente un deterrente alla normalità. A quelli che troviamo al pub. Appunto.

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