il Grande cinema italiano //// amato da Hollywood

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Jason Reitman, 35 anni, canadese ma artisticamente americano acquisito, è uno dei registi che si possono definire predestinati. E anche privilegiati, perché Jason è figlio di Ivan, uno dei grandi cineasti, – produttore e regista- degli anni Ottanta e Novanta. Nell’ambiente si dice che Jason supererà il padre. Junior è meno dedito allo spettacolo e al colosso, ma è più attento alla cultura, insomma, un autore vero. Sono i titoli a parlare, Thank you for smoking, Juno, Tra le nuvole, fra gli altri. In un discorso a tutto campo sul cinema si è soffermato anche su quello italiano.
La domanda era: «Jason, l’Italia è un paese importante per storia e per cultura, e per cinema naturalmente, quali sono film italiani che possono valere, nella sua gerarchia?»
«Di getto dico quattro titoli: sono La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, Nuovomondo di Emanuele Crialese, Gomorra di Matteo Garrone, This must be the place di Paolo Sorrentino. Mi sembra un panorama abbastanza completo della cultura italiana. Giordana racconta di un paese triste, e violento, e confuso, che ha fatto il ’68, e che lascia non tante speranze. L’Italia che va nel “Nuovomondo”, con l’oceano di latte e gli alberi da cui piovono monete è una bella metafora di Crialese. A Garrone dobbiamo la Napoli violenta della camorra, dei cadaveri nel cemento, dei ragazzini che si sparano. E poi Sorrentino, un regista che utilizza una narrativa e un’estetica precise, quasi perfette, con uno stile spesso grottesco, quello stile che lo rende riconoscibile in ricostruzioni di personaggi inquietanti, veri, come il protagonista del “Divo“. Sì, al cinema italiano devo molto.»
Queste affermazioni di Jason Reitman non … ci sono ancora state. L’intervista è virtuale, trasferita avanti di una quarantina di anni, quando il regista ne avrà 77.
Le citazioni vogliono essere un augurio e un auspicio. Forse pretendiamo troppo. Ma teniamoci, coltiviamo questa nostra speranza italiana.

Uno che invece, 77enne ha fatto dichiarazioni vere, attuali, rispetto al cinema italiano, è Woody Allen. Ha detto che i suoi quattro film del cuore sono Ladri di biciclette e Sciuscià di De Sica, Blow-up di Antonioni e Amarcord di Fellini. Sono titoli delle epoche in cui eravamo fra i più bravi del mondo, se non i più bravi. Eravamo degli inventori. È naturale, e doveroso che i grandi autori del mondo ci abbiamo “toccato”. Conosciamo la passione per quel cinema da parte di gente come Scorsese, Coppola e Eastwood, solo per citarne alcuni.
Cercando di interpretare il linguaggio e i contenuti di Allen, si possono identificare ispirazioni e analogie. Ladri di biciclette è un’opera d’arte, per estetica, sentimento e poesia. Lo è in assoluto, riconosciuta da grandi intelligenze che oltrepassavano il cinema, a cominciare da Cesare Pavese. Dunque si tratta di una piattaforma buona per tutti gli artisti. Sciuscià è un’istantanea di povertà dei grandi e dei piccoli, di fantasia italiana, napoletana, di “speriamo che me la cavo”. E speriamo di farcela senza il sogno americano.
Seppure a modo suo in chiave comica e grottesca, Allen nei suoi film ha sempre affrontato la morte. Spesso è un ipocondriaco, lo è quasi di professione. Soffre dunque di quella patologia che dovrebbe difenderti dal pericolo, dalla morte in ultima analisi. Che Antonioni, un autore tanto amato dagli americani, affronti in modo decisamente più serio la morte, non può non sedurlo. Su Blow-up Allen ha detto: «Se fermi con una fotografia un momento della vita e lo ingrandisci sempre più, alla fine ci trovi la morte. Un’idea che mi assilla da sempre.» Anche su Amarcord il newyorkese si è espresso: «Un film che potrei vedere continuamente. Ti porta in un mondo che Fellini ha ricreato, dove niente è reale, ma dentro cui ti ritrovi magicamente.»

Un maestro dunque riconosce i maestri italiani. Un futuro maestro… basta aspettare quarant’anni.

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Gomorra, Matteo Garrone

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Nuovo Mondo, Emanuele Crialese

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This Must be the Place, Paolo Sorrentino

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Ladri di Biciclette, Vittorio de Sica

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Blow up, Michelangelo Antonioni

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Sciuscià, Vittorio de Sica

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Amarcord, Federico Fellini

Informazioni su 'Rossella Farinotti'