Addicted to the Tiger

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Da quando hanno aperto il Centro di Arese – nome poco fantasioso per il più grande centro commerciale italiano – mi capita di visitarlo in orari ameni, lontani da quelli più frequentati, in cui l’intero complesso diventa di fatto invivibile (non ci tornerò mai più né di sabato né di domenica).
Tra i tanti negozi di questo sterminato mall, uno dei miei preferiti è sicuramente Tiger.
Si tratta sì di un marchio ad ampia diffusione mondiale, ma ha una storia particolare, che ho scoperto facendo una semplice ricerca su Google.
Ed ecco cosa mi racconta il magazine Millionaire di questa catena di negozi.

Lennart Lajboshitz, 56 anni, danese, è il fondatore della catena di negozi Tiger: oggetti divertenti per gli usi più disparati. In 20 anni ha costruito un impero con più di 500 negozi in 27 Paesi. Si è fatto da solo, senza aver frequentato né università né business school, senza alcuna formazione in gestione o finanza. La sua scuola è stata la strada e l’esperienza che ha accumulato nella vita. «Il periodo più formativo della mia vita è stata la mia infanzia» ha raccontato. «Quando ero piccolo, ciò che si insegnava ai bambini in Danimarca era di avere fiducia in se stessi. In famiglia la sera ci sedevamo intorno a un tavolo per parlare del mondo: i miei genitori mi incoraggiavano a fare domande e a prendere seriamente i miei punti di vista».

Ora, sembra la classica storiella edulcorata, per far credere che tutti noi, dal più squattrinato al più strambo, possiamo farcela a costruire qualcosa con le nostre idee, trasformando la creatività in un lavoro.
Che poi magari è così per davvero, ma di certo non per chiunque. Altrimenti il mondo sarebbe popolato da bizzarri imprenditori, sullo stile di mister Lajboshitz. Per riuscire in queste imprese occorre avere un mix di talento, abnegazione, un pizzico di genialità e molta fortuna (per esempio per azzeccare il momento giusto in cui lanciarsi in una determinata attività).

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A ogni modo, i negozi Tiger sono davvero particolari.
Vendono oggettistica multifunzione, a prezzi bassissimi, ma senza rinunciare a un design particolare, colorato ma minimalista (caratteristica, questa, che dipende proprio dalla natura danese del brand, immagino).
In una mezza dozzina di visite da Tiger mi è capitato di comprare:

  • Un sostegno da tavolo per smartphone (4 euro)
  • Un’agendina dalla copertina nera, coi fogli colorati (2 euro)
  • Un piccolo blocco note con annessa penna in finto legno (1 euro)
  • Un cavetto USB arrotolato su una comoda spoletta (2 euro)
  • Due paraocchi da viaggio, uno dipinto a forma di testa di camaleonte, l’altra di gufo (3 euro l’una)
  • Un piccolo Buddha a energia solare, che sventola un ventaglio (2 euro)
  • Un comodo zainetto pieghevole, trasportabile in tasca (4 euro)
  • Un portamoneta a motivi floreali (un regalo, chiaramente – 3 euro)
  • Una custodia morbida per tablet, con un disegno che richiama a una vecchia borsa di cuoio (7 euro).

Come intuirete, è il luogo ideale dove comprare regali utili, non banali, senza spendere un capitale.
Che poi ora qualcuno mi verrà a dire che bisogna combattere il capili$mo, che bisogna rivolgersi al piccolo artigianato locale, comperare cesti in vimini intrecciati a mani nude mentre si ascoltano canzoni marxiste-leniniste intonate dai guerriglieri marxisti del Chiapas.
Può essere che la verità sia questa, eppure a me le realtà un po’ naif – come è senz’altro Tiger – continuano a piacere, anche se fanno parte di quel grande movimento con tanti lati oscuri che è la globalizzazione.

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(A.G. – Follow me on Twitter)

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