di Ivan Quaroni
“È difficile notare quello che vedi tutti i giorni.”
(David Foster Wallace, Infinite Jest)
Andrea Fiorino e Dario Maglionico non potrebbero più diversi. Uno è siciliano e ha studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, l’altro è napoletano e si è laureato in ingegneria biomedica al Politecnico. Entrambi vivono a Milano, sono amici e sono pittori. Anche se sono stilisticamente e tecnicamente molto distanti, c’è un elemento che li accomuna. Fanno parte di quella generazione di Millennialsche ha vissuto i peggiori anni della crisi proprio nel fiore della gioventù. L’ombra lunga di quel fenomeno, infatti, ha influito inevitabilmente sulla formazione di un immaginario pittorico in cui predominano temi quotidiani, dimessi, prosaici, scaturiti da una sensibilità acutizzata dall’introspezione. Dal ripiegamento riflessivo e da una visione non troppo ottimistica del futuro nasce quindi la tendenza verso un tipo di rappresentazione e di narrazione visiva che si svolgono in un orizzonte domestico e familiare. Dal punto di vista iconografico, il disinteresse per le questioni politiche e sociali non si trasforma, però, in un desiderio di fuga nel fantastico. Non troppo immersi nella realtà, ma nemmeno inclini a un facile escapismo, Fiorino e Maglionico condividono, piuttosto, l’idea di una pittura che si confronta con la dimensione intima dell’individuo e con aspetti imprevisti o impercettibili della realtà quotidiana.
Everyday Is Like Sunday (ogni giorno è come se fosse domenica), titolo rubato a una canzone di Morrisey, si adatta alle atmosfere feriali dei dipinti di Fiorino come alle ambientazioni domestiche di Maglionico. Entrambi usano la pittura per raccontare ciò che conoscono, luoghi, situazioni, persone e perfino oggetti che fanno parte del loro vissuto, sia esso reale o immaginario. La mela, dice un vecchio detto, non cade lontano dall’albero. Ed è un bene, perché uno dei compiti della pittura è di testimoniare il proprio tempo, di documentare, insomma, i passaggi sociali e culturali e gli inevitabili mutamenti di sensibilità. La pittura figurativa della Y Generation, e in particolare quella di Fiorino e Maglionico, si distingue dalla precedente per la creazione di un immaginario che sta contemporaneamente dentro e fuori la dimensione prosaica, in una sottile zona di confine tra la realtà concreta e quella pensata e immaginata.
Il filo conduttore della ricerca di Fiorino è la voglia di raccontare storie che mescolano la verità vissuta con la finzione di un sogno ad occhi aperti. La pittura è, infatti, per l’artista siciliano l’occasione per narrare vicende plausibili, adottando un registro visivo “sopra le righe”. Quel che sembra normale e perfino banale nei suoi dipinti convive con il gusto verso la manifestazione di eventi straordinari, ma che mai appaiono eclatanti. Probabilmente, pesa qui l’anima latina (e levantina) di Fiorino, propensa a leggere la realtà attraverso la lente del soprannaturale, approdando a quel particolare tipo di sensibilità che gli scrittori sudamericani ascrivono al “realismo magico”, una cosa che non ha niente a che vedere con la pittura cara a Massimo Bontempelli e Max Roh. Piuttosto ha a che fare con la consapevolezza che la sfera del visibile non esaurisce tutte le possibilità d’interpretazione del reale e che molto di ciò che può “essere detto” in pittura vada ricercato nella sfera immaginifica ed emozionale.
Forse per questo Fiorino ha deciso di adottare un linguaggio più prossimo a quello ingenuo dei primitivi o dei pittori folk e naïve, dipingendo, per giunta, su superfici povere carta e cotone grezzo. Usando un impianto monocromatico, tutto giocato sulla scala dei grigi, Fiorino descrive momenti di vita quotidiana, gruppi di ragazzi che indulgono a piaceri semplici, pedestri, come una conversazione per strada (Il muretto), un party domestico (In un momento condiviso), un giro al Luna Park (Macchine a scontro) o una gita in campagna (Caccia alle lucciole). Attività che, in sé, non hanno nulla di straordinario e che ci ricordano che c’è stato un tempo, prima dell’avvento dell’era digitale, in cui ci si divertiva con poco.
Quel che, piuttosto, stupisce nelle storie di Fiorino è la comparsa discreta del soprannaturale, l’intervento epifanico e rivelatore di una dimensione “altra” che squarcia il velo grigio della realtà con improvvisi sprazzi di colore. È quel che accade, per esempio, in Giorgio e la lucertola nel deserto, una curiosa versione del tema di San Giorgio e il Drago, dove un raggio iridato taglia diagonalmente la scena, trasformando la sosta campestre di un motociclista in un evento straordinario. Lo stesso si può dire di Caccia alle lucciole, dove il nugolo d’insetti luminescenti, unica nota cromatica del quadro, contribuisce a creare un clima d’incanto e sospensione. Altrove, le accensioni di colore marcano particolari irrilevanti – le luci degli autoscontri, le ruote di uno skateboard, la scritta su una t-shirt, i fiori in un vaso – al solo scopo di rendere più efficace la composizione pittorica o di rafforzare il tono di “spensierata malinconia” che sovente accompagna le sue storie. Racconti che, peraltro, rivelano, quasi con imbarazzato stupore, il profondo legame che unisce l’uomo alla natura.
La casa è il luogo in cui si articolano le visioni pittoriche di Dario Maglionico, che attraverso la moltiplicazione prospettica dei punti di vista e la parziale replica di figure e oggetti, documenta l’origine sinestetica dei processi percettivi e di quelli attinenti la formazione dei ricordi. I suoi interni domestici, spesso impaginati in una teoria di piani obliqui, di prospettive incongrue che sembrano ottenute dalla sommatoria di diverse inquadrature, sono luoghi che “registrano” il passaggio di amici e familiari, conservando l’immagine aleatoria dei loro residui psichici. Come persistenti fantasmi, infatti, le figure incompiute di Maglionico aleggiano tra corridoi e camere da letto, tra soggiorni e stanze da bagno di abitazioni tipicamente italiane. La casa, però, non è solo un’ambientazione, uno sfondo su cui l’artista dispone le sue frammentarie figure, ma è essa stessa il soggetto di una pittura che recupera il gusto per il dettaglio e la descrizione particolareggiata di mobili, oggetti, complementi d’arredo.
Al “piacere colpevole” di coltivare la bella pittura, l’artista affianca un impianto teorico derivato da riflessioni e letture attorno al tema della percezione.
Reificazioni è il titolo di una serie di dipinti (quasi cinquanta ormai) che, con uno stile pittorico a tratti quasi fotografico documenta l’interesse dell’artista per la rappresentazione di atmosfere sospese in cui convergono sincronicamente i segni di eventi passati e presenti e le figure appaiono simultaneamente in posti diversi. “Abitiamo i luoghi in modo fugace”, dice l’artista, “lasciando nel flusso del tempo tracce di vita e, in modo fugace, cerchiamo noi stessi rincorrendoci nello scorrere degli eventi”. Alla radice dell’interesse di Maglionico per la percezione c’è, forse, il sospetto che gli strumenti cognitivi dell’uomo siano insufficienti o, addirittura, fallaci. Con la pittura, l’artista tenta di rappresentare qualcosa che sfugge alla nostra comprensione ordinaria e di fissare in immagini sincroniche l’inafferrabile corrente dinamica dell’esistenza. Anche la luce, elemento già indagato nella serie intitolata Studi del buio, assume negli ultimi lavori un ruolo centrale, irradiando praticamente da ogni fonte, dalle finestre agli specchi, dalle lampade agli schermi dei computer portatili. Le nuove Reificazioniereditano, dunque, l’elemento introspettivo prima associato al buio – condizione necessaria per acuire gli altri sensi – inserendolo in una pittura che si apre a una nuova chiarità di tono e che all’ampliamento dello spettro cromatico affianca una sempre più accattivante gamma di pattern. Il risultato è una pittura che si fa allo stesso tempo più intellegibile e seducente, senza peraltro perdere quel senso di sospensione onirica che è, fin dall’inizio, uno dei segni distintivi del suo stile.
INFO:
Andrea Fiorino, Dario Maglionico
Everyday is Like Sunday
a cura di Ivan Quaroni
Opening: mercoledì 11 aprile 2018
Antonio Colombo Arte Contemporanea
Via Solferino 44, Milano