Contro Parmenide

di Ivan Quaroni

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La motilità e cangianza delle forme, cui corrispondono la mutevolezza di pensiero e stati d’animo, non sono che illusioni del mondo fisico. Così la pensava Parmenide, fondatore della scuola di Elea, secondo cui la fallace impressione di movimento prodotta dai sensi contrastava, logicamente, con l’essenza della realtà, paragonabile a una sfera perfetta, statica e uguale in ogni parte, e dunque finita e conclusa. Per il filosofo greco, la vera conoscenza non era, infatti, fondata sui sensi, ma sulla ragione, sul pensiero logico, il quale non poteva ammettere la coesistenza simultanea di essere e non essere e, dunque, la modificazione dell’essere in altro da sé, attraverso il movimento apparente delle forme. La sua teoria si contrapponeva al pensiero di Eraclito, basato interamente sulla conoscenza sensibile, come pure all’atomismo democriteo, che ipotizzava il movimento degli atomi in uno spazio vuoto. Lontano anni luce dalle idee di Parmenide, il pensiero prevalente della contemporaneità è, invece, largamente radicato nell’esperienza sensibile, sia essa di natura analogica o virtuale.

Agostino Bergamaschi, Intuizione per una forma

Agostino Bergamaschi, Intuizione per una forma

Tutta l’arte contemporanea, o perlomeno gran parte di essa, può essere descritta come una teoria di tentativi di interpretare la realtà fenomenica, nelle sue variegate accezioni politiche, culturali, sociali, antropologiche. Essa è, in definitiva, una pratica intimamente connessa alla percezione del cambiamento, soprattutto in un’epoca, quale quella odierna, contraddistinta da una mobilità rapida delle strutture sociali e politiche, delle tecnologie, delle abitudini comportamentali. Quella che il sociologo Zygmunt Bauman definisce modernità liquida – in opposizione a quella solida, tipica dello sviluppo industriale – è una società caratterizzata da un’inedita accelerazione delle trasformazioni, che produce una condizione di permanente instabilità e incertezza. Con Bauman, il divenire illusorio di Parmenide assume le fattezze, tragicamente concrete, della globalizzazione e del consumismo, della rapida obsolescenza dei sistemi produttivi e tecnologici, che portano allo smantellamento delle certezze e alla formazione di uno stato di paura diffusa. La paura liquida induce, forse indirettamente, gli artisti a ragionare attorno ai fenomeni di variazione, a interrogarsi sulla natura instabile della realtà, percepita come il campo d’azione e di prova delle speculazioni correnti.

Francesca Schgor, Love Addicted

Francesca Schgor, Love Addicted

Francesca Schgor, Agostino Bergamaschi e Andrea Bruschi affrontano, ognuno con un approccio personale, il tema della variazione percettiva delle immagini, del movimento delle forme e del conseguente adattamento cognitivo, attraverso opere che spaziano dalla scultura all’installazione, dalla pittura alla fotografia. Questi tre artisti rappresentano, anche anagraficamente, la generazione Y, quella dei Millenials o Echo Boomers nati tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila, all’apice della modernità liquida. Si tratta di una generazione cresciuta simmetricamente all’espansione di massa della comunicazione istantanea (internet, telefonia cellulare, social network), una generazione che, quasi per necessità, è stata nutrita, ma anche travolta, dal costante flusso d’informazioni dell’era digitale. Dentro questo flusso, questo magma informazionale, più che mai si avverte l’esigenza di recuperare il senso dell’esperienza diretta, non mediata, dei fenomeni. Forse per questo Andrea Bruschi, Agostino Bergamaschi e Francesca Schgor sembrano concentrare la loro attenzione su semplici meccanismi percettivi, indagando, con occhio nuovo, o con rinnovato stupore, la relazione tra forma, immagine e interpretazione.

Andrea Bruschi, Cosenz54

Andrea Bruschi, Cosenz54

Agostino Bergamaschi considera l’opera come un dispositivo sensibile, capace di attivare nell’osservatore la memoria d’intuizioni e sensazioni scaturite dall’esperienza. Attraverso i suoi lavori, innesca, infatti, un rapporto di mutua corrispondenza col fruitore, il quale è chiamato a interpretare e completare il messaggio dell’immagine. Ad esempio, la scultura Aspettando il buio, composta di tre strisce di marmo di diverso colore, sembra quasi avvolgere il riguardante, grazie all’inclinazione in avanti della sommità superiore. Avvicinandosi alla lastra, tripartita a scandire il passaggio dal crepuscolo alla notte secondo un andamento ascensionale, si possono notare piccoli segni, che suggeriscono il lento affiorare delle costellazioni nella volta celeste. Il tema della variazione luministica è anche il soggetto dell’installazione Aspettando il buio II, un recipiente di vetro verticale riempito d’acqua, in cui l’artista aggiunge periodicamente un pigmento scuro. Si tratta di un lavoro in divenire, per natura instabile, che durante l’arco temporale dell’esposizione, ricalca la transizione dal chiarore diurno alle ombre serotine. La luce è elemento centrale anche nelle fotografie intitolate La sorgente dell’oblio e Prima di essere sole, entrambe basate su effetti di ambiguità semantica e percettiva. La prima è una doppia esposizione di un paesaggio lacustre, fotografato dalla medesima posizione, ma in momenti diversi. Anche qui, l’acqua gioca un ruolo fondamentale, generando un’ambiguità tra il paesaggio reale e quello riflesso sulla superficie del lago, due immagini speculari, identiche nella morfologia, ma diverse nella caratterizzazione luministica e ambientale. Prima di essere sole è, invece, una foto della cupola del Pantheon di Roma scattata dall’interno, in cui la cavità circolare sulla sommità del tempio diventa massa e volume. Bergamaschi, invertendo i rapporti di luce e ombra, evidenzia, ancora una volta, la vocazione enigmatica delle sue immagini. In questo caso, l’oculo del Pantheon sembra tramutarsi nell’immagine di due pianeti sovrapposti come in un’eclissi, ma l’illusione svanisce non appena scorgiamo il particolare architettonico della volta a cassettoni.

Agostino Bergamaschi, Prima di essere sole

Agostino Bergamaschi, Prima di essere sole

Andrea Brusci concepisce la pittura come un tentativo di appropriazione delle forme e delle immagini che caratterizzano il flusso dinamico della realtà, filtrate attraverso un linguaggio che alterna segni astratti e gesti informali con elementi grafici e lineari. Una volta inserite nello spazio pittorico, dominio operativo di accadimenti imprevedibili, le forme nitide e scandite del mondo fenomenico diventano incerte, quasi indecifrabili. Bruschi è consapevole del fatto che la pittura è, di per sé, una forma d’interpretazione, un territorio in cui realtà oggettiva e dimensione individuale collidono, generando incidenti ed errori affascinanti. Per l’artista, la pittura è, essenzialmente, una pratica cognitiva, che consente una diversa e forse più autentica elaborazione dei dati sensibili. Ad esempio, l’installazione intitolata Cosenz 54, che prende spunto dall’indicazione topografica di un cantiere edile della periferia di Milano, affronta il tema del mutamento e della variazione. Si tratta di un polittico di tele quadrate, d’identiche dimensioni, che riproduce la struttura a griglia di un calendario digitale. Ogni giorno (e quindi ogni tela) documenta un momento diverso dell’attività del cantiere, che trasfigura i movimenti della gru, attraverso le forme e i materiali sensibili della pittura, dando luogo a un inedito campionario d’immagini astratte. Anche i dipinti della serie Lux, eseguiti a olio e resina su fodere per aumentare gli effetti di trasparenza e i contrasti tra superfici lucide e opache, indagano i fenomeni di percezione luministica. Sono lavori monocromi, giocati su sottili gradazioni di tono, in cui l’artista verifica l’interazione tra le immagini reali, come la proiezione dell’ombra di una finestra, e il linguaggio autonomo della pittura, fatto di segni gestuali e macchie di colore.

Andrea Bruschi, cosenz54

Andrea Bruschi, cosenz54

D’impronta chiaramente concettuale appare il lavoro di Francesca Schgor, che analizza i fenomeni percettivi, manifestando un particolare interesse verso l’analisi di esperienze e abitudini di dipendenza e assuefazione nella società contemporanea. La sua ricerca spazia tra fotografia, disegno e installazione, ordinandosi in serie tematiche, come Challenge 21, Love Addicted e Distortion, ognuna caratterizzata da un differente approccio d’indagine, ma tutte facenti capo un unico progetto, intitolato The Age of Addiction, che affronta il tema delle dipendenze fisiche, psicologiche, affettive, comportamentali. Distorsion, ad esempio, è un work in progress fotografico, in cui l’artista cattura gli effetti distorsivi prodotti dalle superfici riflettenti dei grattaceli. Queste C-prints mostrano un panorama urbano segmentato, fatto di cantieri e scorci architettonici, in cui l’uomo appare come una presenza labile e transitoria. La dipendenza, in questo caso, è di ordine visivo. Più esplicito, invece, è Challenge 21, insieme di grafici, notazioni o, se vogliamo, mappe mentali, su carta millimetrata, che indagano i fattori di dipendenza da un punto di vista analitico, come se si trattasse di incognite risolvibili attraverso diagrammi e formule matematiche. Anche l’installazione Love Addicted, composta di fili rossi e fogli di carta, è una sorta di diagramma, una sintesi grafica che illustra l’andamento di una relazione amorosa come il progressivo avvicendamento di due linee, cui segue il loro intrecciarsi in un caotico garbuglio (anch’esso prodotto di una anomalia distortiva) e, infine, il loro definitivo estraniamento, con la ripresa di un percorso individuale distinto, ma parallelo.

Francesca Schgor, Il ragno

Francesca Schgor, Il ragno

La mostra viene presentata nell’ambito del circuito START GENOVA, che quest’anno propone visite guidate, in collaborazione con LUOGHI D’ARTE.
Catalogo bilingue, italiano ed inglese, edizioni ABC-ARTE.

UFFICIO STAMPA:
ABC-ARTE info@abc-arte.com
+39 010.8683884
via xx settembre 11A, Genova http://www.abc-arte.com

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