gli OSCAR 2013 //// e la CASA BIANCA

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Di Pino Farinotti | Una lettura in prospettiva degli “Oscar” – sono passati cinque giorni – consente un rilievo molto importante, decisivo. Ma prima mi permetto una sintesi generale sulle attribuzioni. Argo, il film vincitore, non è da Oscar, più avanti ne spiegherò le ragioni. Daniel Day Lewis migliore attore: sacrosanto. Trattasi di una performance fisica e “metafisica”: lui non fa Lincoln, “è” Lincoln. Inoltre scardina la storia del cinema: è l’unico attore con tre Oscar da protagonista. Jennifer Lawrence attrice protagonista: la conosco poco, il suo film, Il lato positivo, non è ancora arrivato nelle sale italiane. E’ una ventitreenne, forse era un po’ presto per assegnarla alla storia. Comunque meglio a lei che a un’altra Meryl Streep, sempre fastidiosamente perfetta.

Ang Lee è stato premiato per la regia, col film Vita di Pi. Il taiwanese è al suo terzo Oscar: La tigre e il dragone (film straniero) e Brokeback Mountain (miglior regia) – favoriti da una corrente critica che privilegia – eccede nel privilegio- culture non occidentali. Tre Oscar sono, comunque, troppi. Cito la “sceneggiatura” attribuita a Tarantino per “Django”: ci sta. E poi Anne Hathaway, non protagonista (Les Misérables): è un’attrice ormai beatificata, ma deve sempre ricordarti, ad ogni sequenza che lei possiede la grazia. La recitazione migliore, così come la regia, sono quelle di cui non ti accorgi. Infine Christoph Waltz, non protagonista (“Django”). Meritato. E poi i minori.

Dunque Argo. E’ certo un ottimo film, peraltro già premiato con il Golden Globe (per la regia di Affleck), una sorta di avamposto dell’Oscar. La storia è nota: sei funzionari dell’ambasciata americana di Teheran, assediata dai fondamentalisti, novembre 1979, riuscirono a fuggire, vennero accolti nell’ambasciata canadese, poi vennero fatti uscire dall’Iran grazie a un grande trucco, la finta produzione di un film. C’è thriller, tensione, avventura, storia. Ma la potenza che dovrebbe valere un Oscar non c’è. E’ molto più “potente” e di maggiore qualità generale Zero Dark Tirthy, quello su Bin Laden, della Bigelow. Ma la regista primatista – prima donna regista a vincere l’Oscar- era già stata premiata tre anni prima con The Hurt Locker. Non si poteva … esagerare. I due titoli hanno comunque un comune denominatore importante, anzi “potente”. Sono film politici. La considerazione può essere: tutti i film sono “politici”, ma in questo caso non valgono le virgolette.

Argo è dunque un film strumentale all’amministrazione Usa, un film squisitamente “obamiano”. E’ la storia di una vittoria. E sappiamo bene quanto siano importanti le vittorie per le amministrazioni, e per l’America. In un contesto di guerra e di guerre, per lo più osteggiate dall’opinione comune, è opportuno, e decisivo, un restyling di immagine. E c’è un dato curioso: il salvataggio dei 6 americani dell’ambasciata era semplicemente un segmento felice di una vicenda drammatica. Gli altri membri, 52, dell’ambasciata assaltata, furono presi in ostaggio dagli iraniani. Nell’aprile dell’80 il presidente Carter tentò un blitz per la loro liberazione, che fallì. La vicenda si concluse, diplomaticamente, soltanto il 20 gennaio del 1981, quando gli ostaggi vennero rilasciati dopo 444 giorni di prigionia. Era una chiara sconfitta americana, che Argo ha “tradotto” in vittoria. Il cinema può permetterselo. Il cinema politico è sempre esistito, in tutte le epoche, basta pensare alla propaganda russa, a quella nazista, al cinema Rooseveltiano o dei reduci, anche a quello di regime italiano. E Washington non si è certo tirata indietro per input o pressioni, se non “ordini”. Ma nel caso della notte delle stelle abbiamo assistito a un precedente interessante. Michelle Obama ha personalmente annunciato, dalla Casa Bianca, la vittoria di Argo. Felice, entusiasta. E dunque l’ingerenza è stata dichiarata. Come se la “presidentessa” comunicasse al movimento del cinema: “grazie signori per aver premiato un film utile e funzionale alla politica e all’immagine di mio marito”. Le “first” Roosevelt, Eisenhower, Kennedy o Reagan e tutte le altre, non avevano meno potere di Michelle, e certo non si tiravano indietro nel sostegno ai mariti.

Ma non si erano mai messe sul piedestallo presidenzial-hollywoodiano a esplicitare così apertamente, ad avallare in “chiaro”, la ditta politica&cinem

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