Gli scrittori sono essenzialmente stronzi

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In Giappone l’amicizia tra gli scrittori non esiste, perché “gli scrittori sono fondamentalmente delle persone egoiste, troppo orgogliose e con un forte spirito di rivalità.”
Parola di Murakami Haruki, il più celebre autore nipponico, di cui ho appena letto Il mestiere dello scrittore.
Diciamo fin da subito che questo saggio di scrittura offre qualche spunto personale interessante, ma anche una serie di denunce al sistema editoriale giapponese, ai suoi premi letterari (in particolare all’Akutagawa, la controparte del nostro Premio Strega), ai mezzucci che, a dire di Murakami stanno decretando il decadimento del movimento culturale del Sol Levante.
In altre parole l’autore descrivere una situazione paragonabile a quella italiana, quantomeno per chi, come me, la osserva da oltre dieci anni.

A parte questo triste parallelismo, che non fa altro che sottolineare quanto l’editoria tradizionale sia mondialmente in crisi (fatti i dovuti distinguo), mi è piaciuto il modo in cui Murakami descrive il suo essere uno scrittore, senza ricorrere a cliché romantici e radical chic.
Se non avessi scritto romanzi, nessuno mi avrebbe notato. Avrei condotto un’esistenza molto ordinaria nel modo più ordinario. Io stesso, nella vita quotidiana, non mi ricordo quasi di essere uno scrittore.”
Lo dice un autore che vende qualche milione di copie in tutto il mondo. Fate le dovute proporzioni con chi – come me – si occupa di generi che muovono al massimo qualche centinaio di ebook a titolo.

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Da questo saggio autobiografico sulla scrittura esce il ritratto di un Murakami molto gigione, garbatamente ma insistentemente polemico, ironico nei confronti dei critici e degli haters. Nulla di straordinario, come spesso capita per gli artisti, che sono molto più normali di quanto si immagina.
Ammetto di non aver letto quasi nulla di questo autore. Anzi, questo saggio è il suo secondo libro che acquisto. Pur non avendomi colpito come romanziere, devo dire che mi sono ritrovato in certe sue confidenze come mestierante.
Prendiamo per esempio la sua dichiarazione d’amore per il lavoro di scrittore. Non per la visione romantica del medesimo, bensì per l’atto pratico, quotidiano, di sedersi davanti a un computer per portare avanti un progetto.

«Considerare la scrittura una tribolazione è un’idea che non mi appartiene. Penso che fondamentalmente debba essere qualcosa che sgorga in modo spontaneo».

Un’affermazione che sposo totalmente.

Altre cose interessanti sono le sue considerazioni sull’originalità, che non è mai assoluta, bensì si ottiene con un concorso di due fattore: l’evoluzione costante e il lavoro di affinamento del proprio stile.
Murakami è anche piuttosto realista nel parlare agli aspiranti scrittori, suggerendo loro di non farsi troppe illusioni, ma di continuare a lavorare con metodo, ad allenare lo spirito di osservazione e ad ampliare quanto più possibile il range delle letture, che costituiscono il background di ogni giovane autore.
Consigli in realtà piuttosto scontati, ma che ogni tanto vale la pena ribadire, per smentire tutti gli intellettuali radical chic che tendono a rappresentare l’arte della scrittura come una suggestione alta, aristocratica, riservata unicamente agli eletti.

Chiudo con un paio di considerazioni personali sullo stile di Murakami. L’unico suo libro che ho letto, 1Q84, sfugge a quasi tutte le regole citate come dogmatiche dai soloni della letteratura moderna.
Murakami è iper-descrittivo. È ripetitivo. Ribadisce più volte lo stesso concetto. Ha la tentazione, di tanto in tanto di usare lo stratagemma del narratore onnisciente. Infine si lascia andare saltuariamente a soluzioni eccessivamente semplici (poco credibili?) per situazioni in cui i protagonisti delle sue storie sono apparentemente in un vicolo cieco.

Eppure Murakami piace. Vende. E non si può affatto dire che scriva male, al netto dei gusti soggettivi.
Con buona parte dei guardiani dell’ortodossia.

1q84


(Articolo di Alex Girola – Seguimi su Twitter)

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