“Creatore di forme”. Cosi l’hanno definito Claude Chabrol e Eric Rohmer, autori di culture diverse e dunque, a maggior ragione, credibili. Alfred Hitchcock ha infatti inventato forme estetiche, e forme mentali. Il maestro del noir, del giallo e di un certo modello di horror, ha creato e inventato tanto forse tutto. Tanto da essere legittimato anche in un contesto che … legittima, appunto: un museo. In questi giorni è infatti in mostra una documentazione dedicata all’autore inglese a Palazzo Reale a Milano. Diverse fotografie, tante frasi di citazioni, testimonianze di attori e persone che hanno vissuto e lavorato intorno a lui, da Grace Kelly a Kim Novak, da James Stewart a Anthony Perkins, fino alla fondamentale figura della moglie Alma – a cui è stata dedicato un ruolo importante ricoperto da Helen Mirren nel recente (mediocre) film Hitchcock, diretto da Sacha Gervasi – fino a un inserto acuto dedicato a Bernard Hermann, il compositore di un gran numero di film dell’autore inglese, colui che ha creato quei tunes che ancora oggi fanno venire i brividi . Un solo elemento raro è riscontrabile nel percorso della mostra: un piccolo disegno preso dallo storyboard de Gli uccelli. Per il resto è tutto riscontrabile nei film. Comunque il Museo ripeto, gli è congeniale. Non è difficile immaginare Hitchcock ripercorso in un contesto di tale importanza, proprio perché è un genio “creatore di forme”. Forme sono le ombre di mistero di capolavori come Gli Uccelli (1963), Il sipario strappato (1966), Psycho (1960), Vertigo – La donna che visse due volte (1958), Il delitto perfetto (1954), La finestra sul cortile (1954) o Nodo alla gola (1948); forme sono le caratteristiche psichiche dei protagonisti, che Hitchcock trasforma in ossessioni, in spirali dentro cui il protagonista deve risolversi da solo: la psiche umana viene analizzata anche a livello visivo, anticipando o riprendendo codici da grandi contesti. Esempi come la matrice di Dalì in Io ti salverò (1945) per rappresentare gli incubi e i ricordi che affiorano di Cary Grant; il terrore, dello stesso Grant, nel vedersi inseguito dell’aereo in Intrigo internazionale (1959), i richiami palesi di Freud in Marnie (1964). E forme “alla moda” sono i modi di essere e rappresentare un certo mondo in prodotti come Caccia al ladro (1955), L’uomo che sapeva troppo (1956), Topaz (1969). Forma come metafora di una certa dimensione umana, o “metafora della dimensione spettacoliare” (con la “i”), come la definisce il critico Gianni Canova apparendo in ampli schermi in mostra, dove si presenta, ombra di profilo, con l’immancabile Marcia funebre per una marionetta di Charles Gounod. Alla Hitchcock, appunto. Non so spiegare cosa significhino termini come “dimensione spettacoliare”, o “merce commestibile” . Certo Alfred Hitchcock è un collettore assoluto. Ha toccato tutto, semplicemente. Temi moderni e ricorrenti, un forte surrealismo nelle forme e nei contenuti, dalla malattia al mistero, dall’erotismo profondo alla paura dell’essere, dal voyerismo al sangue, dalla critica della società borghese all’analisi del mondo più generale. Paura, mistero, ironia, destino, feticismo, sensualità, magia … per un autore per cui “il Mistero è mistificatorio, ha a che fare con la ragione. La suspense ha a che vedere con le emozioni”. Per riviverlo consiglio un semplice gesto: ri-guardare i suoi film anche comodamente a casa.