Il candidato troppo acculturato

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Quest’estate mi è capitato di venire a sapere che un signore che conosco da molto tempo si è candidato sindaco di un paese che ogni tanto frequento.
Sì, sto sul vago perché non voglio fare nomi né cavalcare specifiche polemiche.
Quest’uomo, educato, laureato, moderno padre di famiglia e onesto cittadino, sarebbe il candidato ideale di molte persone. Al di là della sua appartenenza politica, una piccola comunità come quella in cui vive avrebbe soltanto da guadagnarci, con un sindaco così.
Invece mi è arrivata voce che non pochi paesani, spinti da qualche rappresentante dell’opposizione, non apprezzano il nostro signor Candidato. Perché? Perché – cito testualmente – “È troppo acculturato, parla in maniera troppo forbita” (non credo che il termine “forbita” sia quello utilizzato dai villici in questione).

Davanti a una riserva di questo genere, non ho altro da fare che scuotere la testa.
Troppo acculturato?
Mi piacerebbe sapere da quando, in Italia, la cultura è diventata un handicap. Forse da quando sempre più persone hanno lasciato intendere che per essere credibili occorre essere “del popolo”, inteso in senso sottilmente negativo. Quel “del popolo” fa pensare a una folla di redneck incazzosi, restii ad aprire un libro, propensi a guardare i computer come se si trattasse di strumenti presi in prestito da Satana, estremamente retrogradi e ostili al cambiamento.
Ma le piccole realtà di periferia e di campagna sono davvero così?
In parte.

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Anche nelle mie parti – abito a una ventina di KM da Milano, non nel New England descritto da H.P. Lovecraft – è ancora radicata la convinzione che il vero uomo debba saper aggiustare un motore, riparare un lavandino e, più genericamente, svolgere un lavoro di fatica.
La donna invece può fare l’impiegata o la commessa, ma se rimane a casa a badare ai fornelli e ai figli è ancora meglio.
Per fortuna molte cose sono cambiate nel corso dei decenni, ma la mentalità del redneck è ancora radicata in diversi individui, non necessariamente della terza età.

L’ostilità nei confronti della cultura (o meglio, nei confronti di “quelli che studiano”) è parte del problema.
C’è chi guarda con diffidenza chi ha un titolo di studio, chi parla “difficile”. Non sono un antropologo, tuttavia mi ricorda quella forma di timore/sospetto che gli uomini delle tribù primitive provano nei confronti degli sciamani, depositari di una conoscenza superiore e percepita come esoterica.
Peccato che un paese moderno e in cerca di idee e persone brillanti per uscire dal pantano della crisi economica abbia bisogno proprio di persone con uno sprint mentale superiore alla media.
E magari anche con qualche capacità esoterica.

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(A.G. – Follow me on Twitter)

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