Paolo Virzì, trasversale per l’occidente |di Pino Farinotti
“Il capitale umano” è un romanzo di Stephen Amidon, scrittore americano di cultura “costa orientale”. Nello scenario del Connecticut vive la storia di due famiglie, Gli Hagel e i Manning. Quint Manning è un finanziere potentissimo, che fa parte di una decina di consigli di amministrazione che dettano le regole di Wall Street. Drew Hagel è titolare di un’agenzia immobiliare di scarso successo. Una partita a tennis li fa incontrare, Drew, sedotto dall’immagine dell’altro investe tutto quello che ha su dei fondi. Perderà quasi tutto. Quint ha un figlio viziato e alcolizzato, Drew una figlia difficile e ribelle. I due ragazzi hanno una storia, che lega le due famiglie in modo drammatico. Un suv, guidato … non si sa da chi, investe e uccide un ciclista. Il nodo dovrà sciogliersi, la verità emergere. Nel frattempo tutti i personaggi hanno mostrato le loro personalità, tristi, magari orrende.
Paolo Virzì ha trasferito la vicenda americana in una zona dell’Italia del nord che assomiglia molto alla Brianza. Gli omologhi degli Hagel e dei Manning sono gli Ossola e i Bernaschi. Non ha dovuto fare molta fatica il regista ad adattare vicende, personalità e ambienti. Giovanni Bernaschi (Gifuni), il boss, nelle riunioni parla sempre in inglese, gli ingenui velleitari come Dino Ossola (Bentivoglio) li trovi dovunque. E i ragazzi di tutto il mondo ormai sono connessi dalla rete, sono gli stessi a New York a Londra, a Parigi e … a Varese. Il fumo, l’indolenza, e varie dipendenze, la pigrizia, i vizi, sono proprio gli stessi. Naturalmente ci sono esseri umani, adulti e giovani, migliori di quelli proposti dal “Capitale umano”. Carla Bernaschi (Bruni Tedeschi) esordisce accompagnata dall’autista e non sa se andare prima da un gioielliere, da un tessutaio o da un antiquario. Ricca e annoiata, con una recondita, trasparente passione per il teatro, induce il marito e regalargliene uno. Mette insieme un comitato scientifico dove c’è un legista (il suo cellulare suona va’ pensiero) che vorrebbe all’inaugurazione un coro padano, una comunista che tutto disprezza e boccia, e un canuto (e come se lo è) che dice di aver stretto la mano a Luigi Pirandello (morto nel ‘936). C’è anche un docente scrittore col quale Carla finisce a letto, spiata dal figlio. Le serate dei ragazzi sono quelle che sappiamo, la discoteca, l’amico meno “fatto” che accompagna a casa quelli più fatti. E poi dieci parole di vocabolario, la solita cultura televisiva. Virzì racconta contesti poco frequentati dal cinema italiano. Il mondo dei ricchi, con piscina coperta e scoperta, le Bmw e le Ferrari, le cene sontuose, e come detto sopra, “dietro” tutti i degradi possibili, a partire da quello morale, se quel “morale” è un concetto ancora in vita. Non mancano segnali italiani, visioni diverse da quelle del dialetticamente/socialmente/politicamente corretto. C’è un premio che verrà assegnato a uno studente. Sono tre i finalisti, fra cui il rampollo ricco. Vince una ragazza di colore. Il Bernaschi dice “ecco… una negra.” Una menzione per gli sceneggiatori, lo stesso regista con Francesco Bruni e Francesco Piccolo, ottimi adattatori di un testo che, come ho detto, si prestava. Del resto Virzì, è notorio, è uno dei pochi cineasti italiani che abbiano famigliarità vera con la scrittura. E poi gli attori: ci sono momenti di autentico virtuosismo. Bentivoglio, riesce a controllare il suo eccesso di gergo del nord semplicemente dichiarando la caricatura. Giffuni, asciutto e scontroso, diretto e crudele “risolvo tutto io”, è un altro modello perfetto. E la Bruni Tedeschi non è mai stata così brava. E non solo perché “quel” mondo le apparterrebbe per nascita. Rilevo una parentela col contemporaneo Blue Jasmine di Woody Allen. Jasmine, distratta, viziata e protetta all’inizio, smarrita e disperata alla fine, assomiglia molto a Carla e i due mariti, speculatori tetragoni e crudeli, sono le due facce del segnale finanziario globale che ha prodotto l’immane crisi che sappiamo. Ottimo film davvero. Per il mondo, appunto. Una nota: in altri tempi i due protagonisti sarebbero stati Alberto Sordi del “Boom” di De Sica, e Vittorio Gassman del “Tigre” di Dino Risi. Che l’opera di Virzì evochi titoli della nostra epoca d’oro mi sembra una bella legittimazione.