di Pino Farinotti | I recenti film americani, alcuni in circolo, hanno un denominatore comune: una rappresentazione devastante della repubblica. Basta un breve resoconto dei titoli in campo. Col suo The Wolf Scorsese fotografa, con la cattiveria di cui è capace un grande artista, quando ne ha l’intenzione, il mondo di Wall Street. Tutti gli estremi possibili senza un millesimo di attenzione morale. Il grande denaro sarebbe nelle mani di personaggi con Wolf/DiCaprio? Poveri Stai Uniti! Il mondo della provincia degli Stati del nordovest, secondo Alexander Payne regista di Nebraska, è ancora più inquietante. Grigiore generale, grettezza, stupidità, l’orizzonte di un sogno impossibile (la vincita di un milione di dollari) e tutti brutti, giovani obesi e storditi dalle lattine di birra. La “Blue Jasmine” di Woody Allen, ha vissuto anni credendo di essere ricca e felice mentre era solo apparenza in attesa che i nodi venissero al pettine. E quando accade, lei perde la ragione. Anche i Coen, in A proposito di Davis, presentano un quadro angosciante, scuro e freddo, di città leader come New York e Chicago, anche se trattasi di un segmento, quello degli artisti e di una stagione diversa, i primi anni sessanta. Eccolo il cinema di questa tempo di Obama. Ecco le sue istantanee, le sue indicazioni e le sue minacce. E Obama… si domanda perché.
Amministrazioni|Il cinema, nelle epoche, è sempre stato molto attivo rispetto alle amministrazioni, a volte al loro fianco, a volte contro, magari decisamente. Molti presidenti avevano, si può dire, il loro cinema. Roosevelt lo usò a piene mani, in due circostanze decisive, il new deal, dove occorreva dare speranza al Paese attraverso storie felici e rassicuranti, e poi la guerra, dove era necessario affiancare chi era a combattere in Europa e nel Pacifico e chi stava a casa ad aspettare il ritorno dei mariti e dei figli. E alcuni furono film di grande qualità. Eisenhower dovette vedersela con la guerra fredda e promuovere storie che indicassero i russi e la loro dottrina come il male assoluto. Kennedy fu, nel breve tempo concessogli, l’uomo delle riforme a cominciare da quelle dei diritti civili. Il nuovo cinema americano, giovane, liberal, sorpassati i vecchi codici, gli si mise al fianco con entusiasmo. Il cinema sulla guerra del Vietnam fu un vero e proprio genere, una spina nel fianco trasversale di quattro presidenze: Kennedy, Johnson, Nixon e Ford. Richard Nixon, ottimo presidente per la politica estera, fu travolto dal watergate e innescò il filone dei film sulla corruzione e sulle anomalie e deviazioni dei servizi segreti. Reagan, repubblicano dichiarato, fece ottime cose ma la cultura e il cinema prevalenti non la pensavano come lui. Gli si misero di traverso. Clinton, era amato dai media a dal cinema, nonostante la complicazione privata che sappiamo. I film durante le sue amministrazioni (1992/2000) lo sostennero e vezzeggiarono. Michel Douglas, divo amatissimo, voce di grande peso, ne Il Presidente, una storia d’amore, diventa semplicemente Clinton, divulgandone la sua misura umana e il genio politico. George W. Bush, il “figlio”, divenne un bersaglio fisso del cinema. Oliver Stone nel suo “W”, letteralmente lo distrugge, descrivendolo come un idiota ex (forse) alcolista. Barack Obama ha goduto di un trattamento di favore addirittura maggiore di quello dedicato a Clinton. E’ partito con un premio Nobel preventivo, senza ancora esserselo meritato. La sua azione ha, forse, deluso le attese, anche se la prospettiva per un giudizio è troppo sottile anzi, neppure esiste, essendo il presidente in carica. Il cinema comunque lo ha quasi beatificato, come fece Kathryn Bigelow col suo Zero Dark Thirty, che servì l’uccisione di Bin Laden su un piatto d’argento all’opinione comune quando al presidente serviva un’impennata di gradimento. Ma adesso Obama si ritrova questi pessimi manifesti, peraltro esportati dovunque, del Paese di cui è responsabile.
E ho conservato il titolo più… promettente, per ultimo: I segreti di Osage County, di John Wells. E’ la storia di una famiglia dell’Oklahoma, forse la peggior famiglia raccontata nei film. La matriarca Meryl Streep, come al solito brava, persino stucchevole nella sua bravura, è madre drogata, alcolizzata, capillarmente cattiva, di fatto assassina del marito (un suicidio indotto), che ha letteralmente rovinato la vita alle figlie, ai generi ai nipoti, a tutti. E poi c’è di mezzo la pedofilia, l’incesto, l’odio di tutti verso tutti. Senza un solo momento che esprima qualcosa di buono. Il film possiede qualità, se togli i contenuti. Grandi attori e tutti all’altezza. Significa che sono ancora più efficaci nel trasferire tutti quei disastri.
Contrappasso |E voglio ricordare, come contrappasso, di tempo e di tutto il resto, un’altra faccia di questa medaglia, diciamo così. Un altro film sulla famiglia: Da quando te ne andasti, del 1944. Prima dei titoli c’è un cartello: “questa è la storia di un’invincibile fortezza, la famiglia americana.” Il titolo fa parte di quel cinema a sostegno del Paese durante la guerra. Il cast è pieno di modelli massimi, eroi ed eroine. Alla produzione David Selznick, il numero uno, quello di Via col vento. Alla regia John Cromwell, capace di coniugare qualità e spettacolo. E poi la famiglia: la madre era Claudette Colbert, una delle “vere signore” delle major. Le figlie Jennifer Jones e Sherley Temple, signorina e adolescente predilette d’America. Il padre non c’era, era in guerra. Arriva la notizia che è disperso. Dunque nessuna speranza o quasi. Ma le “donne” della famiglia hanno grande forza, lottano e sperano. Viene affittata una stanza a un anziano, ci si impegna negli ospedali e nelle associazioni. Si sopportano le condoglianze. Ma alla fine arriva il telegramma, il capofamiglia è salvo. Tornerà a casa. Certo, la situazione è ideale, di finzione trattasi, magari di propaganda. Ma anche “Osage County” è propaganda, opposta. E l’augurio è che anche quella storia dell’Oklahoma sia più fiction che realtà. Altrimenti… “Dio salvi l’America”. E, tornando al cartello del film antico, la famiglia-fortezza americana è stata vinta, anzi, sgretolata.
Quello di “allora” non era certo un momento meno difficile di questo ma, verrebbe da dire, il presidente era… Roosevelt. E sapeva che indicazioni mandare a Hollywood, e come farle eseguire. Davvero legittima è la collera di Obama, dichiarata: “signori cineasti, se è questo il vostro modo di sostenermi, per favore astenetevi.” (mymovies.it, 24/2/2014)