di Roberto Rup Paolini e Rossella Farinotti | “La vita non è come l’hai vista al cinematografo: la vita è più difficile” (Nuovo Cinema Paradiso, 1988).
Ci sono luoghi dove la realtà viene lasciata alle spalle, per poco tempo, ma accade. Il cinema è l’esempio più tangibile: è chiuso, quando si spengono le luci e incomincia la proiezione del film diviene buio, e sullo schermo ci sono immagini di vite e racconti diversi da quelle che il pubblico stava vivendo prima di varcare quella soglia. È la magia del cinema, non solo come narrazione, ma come luogo. E il luogo è importante, forma parte del pensiero e dell’evoluzione di una persona attraverso le sue azioni e la sua storia. A Milano in certi luoghi la storia è stata rapita, ma può essere sempre riportata alla luce. Si parla spesso di vecchio cinema, si commemora quasi ogni giorno l’anniversario della nascita o della morte di personaggi che ne hanno fatto la storia, e come un volto del cambiamento e della crisi economica e culturale italiana, la nostalgia serve a mantenerci orgogliosi. Parte e merito di quella vecchia gloria ce l’hanno anche i luoghi e le storiche sale di proiezione che ne hanno permesso la diffusione. Attoniti e impotenti siamo stati spettatori della chiusura di cinema nei quali siamo cresciuti, sostituiti da gigantesche multisale da blockbuster, o più semplicemente abbandonati alla loro decadenza. Tra questi ultimi alcuni sono rimasti affacciati a questo mondo, con saracinesche sigillate in attesa di nuova vita, di essere riacquistati e presi in gestione, o liberati da una burocrazia frustrante. È il caso, tra gli altri, del cinema De Amicis di Milano, aperto nel 1960 con la proiezione de Il posto delle fragole di Bergman e chiuso nel 2002. Punto di riferimento per tutta la Milano (ormai si può dire) del secolo scorso, è stato ambasciatore di tutto il cinema internazionale, e nel 1985 aderì al circuito d’essai con rassegne dedicate al panorama tedesco, africano, indiano, russo, con monografiche esclusive a registi di genere in tempi assolutamente non sospetti. Se i cinema potessero prender premi, il De Amicis ne meriterebbe uno alla carriera. E se i cinema potessero anche parlare, probabilmente pregherebbe una fine più degna. Invece è ancora lì. La sua insegna campeggia ancora su via Caminadella al 15, e questo abbandono ha fatto sì che, oltre ad essere stata smantellata in ogni sua parte, venisse anche occupata da associazioni studentesche lo scorso 13 novembre. Il “Laboratorio Studentesco Occupato”, questo il nome che è stato dato al movimento, ha agito senz’altro con nobili (se pur ingenue) intenzioni, sollevando però questioni poco legate alle loro idee politiche, e attirando l’attenzione dei media su scala nazionale. Quello di cui questi ragazzi, per lo più minorenni, non si rendevano conto, era di star prendendo temporaneamente possesso di un luogo simbolo di un tempo che loro non hanno mai conosciuto. E noi, infatuati da sempre dei ricordi legati a quella sala, ne abbiamo sofferto. Ciò che è accaduto in quei cinque giorni ha riportato luce su vecchie questioni legate all’inutilizzo di spazi abbandonati a causa di stalli burocratici e legali, a volte malcostume italiano, a sfavore di una cultura ormai in decadenza e della mancanza di luoghi di aggregazione per nostalgici di un modo di vivere il cinema che ancora non abbiamo dimenticato. Ora il De Amicis è di nuovo buio e in silenzio, in attesa di ciò che prima o poi verrà: o una nuova occupazione o la svolta a cui da più di undici anni siamo in attesa di assistere e partecipare. (da Mymovies.it, 28 novembre 2013).
ph. by Rup (Roberto Paolini)