Il mondo urbano e stralunato di Jeremyville

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Architetto di formazione e collezionista per passione, Jeremyville è un illustratore, designer, fumettista e pittore tra i più prolifici al mondo. La sua creatività nasce da una vera passione per il disegno, applicato ai più svariati ambiti, dalla produzione di giocattoli, adesivi e T-shirt alla realizzazione e customizzazione di tavole da skate e sneaker, dalla  creazione di animazioni per la TV fino alla divulgazione di illustrazioni e fumetti. Senza dimenticare la pubblicazione di libri come Vinyl will kill you, il primo a documentare la scena dei Designer Toy, e Jeremyville Sessions, sulle sue collaborazioni con grandi gruppi come Adidas, Lego, Converse, Sony, Diesel, MTV, ma anche con artisti come Gary Baseman, Miss Van, Friends with you, Geoff McFetridge, Tim Biskup e centinaia di altri. Jeremyville è il fautore di un’arte totale, non relegata solo al ristretto circuito delle gallerie, ma capace di invadere la vita quotidiana in ogni sua forma. Jeremyville , allo stesso tempo, un artista, un brand e un progetto inteso ad ampliare il raggio d’azione della creatività attraverso un processo di scambi e interazioni con diverse realtà artistiche e produttive.

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INTERVISTA

Jeremy, la prima cosa che m’interessa sapere è perché hai trasformato il tuo nome in un luogo? Che cos’è Jeremyville?

L’idea di Jeremyville è di creare un luogo online per coloro che riescono a capire il concetto totale. È un luogo non limitato ad una nazione, un luogo che chiunque può visitare per sperimentare una parte di Jeremyville. Siamo uno studio che si fonda sul progetto, scegliamo di esplorare qualsiasi media catturi il nostro interesse. Ogni progetto cui il nostro studio sceglie di partecipare deve entusiasmarci e rappresentare una sfida. E vogliamo che il nostro entusiasmo si trasmetta anche al nostro pubblico, per forzare sempre più i limiti di ciò che il pubblico si aspetta da noi. Alcuni approdano a Jeremyville per collaborare, artisti , o aziende che rispettiamo. Penso che Jeremyville sia un nuovo concetto iconoclastico di studio d’arte e design per il nuovo secolo. Diciamo no a molte offerte commerciali , accettiamo solo quelle che ci entusiasmano realmente, come la creazione di Toys per Kidrobot, il design di una calzatura per Converse, uno snowboard per Rossignol, un invito dalla galleria Area B, una linea di t-shirts per 2K a Los Angeles, una mostra collettiva da Colette a Parigi. O l’invito ad unirmi alla mostra collettiva Vader all’Andy Warhol Museum di Pittsburg.

I confini nazionali sono stati abbattuti da internet, il nuovo linguaggio mondiale è fatto di icone, immagini, simboli e segni grafici. Ma anche emozione ed intimità sono universali. È per questo che ho sviluppato le mie silenziose storie a fumetti, pensando che chiunque sulla terra possa capirne la trama, non solo coloro che conoscono l’inglese. I simboli dei fumetti raccontano una storia universale, con una conclusione tanto aperta da permettere ad altri di aggiungervi la propria interpretazione. Per me sono allo stesso tempo molto personali, ed ugualmente molto universali. Questo è il fine ultimo di ogni progetto di Jeremyville : connettersi con gli altri ad un livello molto personale, ma anche raggiungere il maggior numero di persone, universalmente. Unione, anima, ed un messaggio in ciò che facciamo,è tutto.

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Una parte molto importante della tua attività di artista e designer è dedicata alla collaborazione con grandi brand, ma anche con singoli artisti. Il tuo libro Jeremyville Sessions, pubblicato da IdN, ne è una importante testimonianza. Che differenza c’è tra la collaborazione con un’azienda e quella con un artista? Quale preferisci?

Lavoriamo solo con artisti ed aziende che ammiriamo e rispettiamo. A dire il vero molto spesso rifiutiamo gentilmente proposte da realtà che pensiamo siano troppo distanti dall’estetica di Jeremyville, ma ancora più spesso, le realtà che ci interessano davvero, arrivano a noi per ciò che offriamo, sta diventando quindi sempre più semplice capire quali sono le aziende con le quali vogliamo lavorare , che realmente capiscono ciò che facciamo. E quando l’intesa è quella giusta , è fantastico, ed è un processo molto semplice. Se invece manca, il processo può diventare molto difficile. Personalmente amo lavorare sia con gli artisti che con le aziende, ognuno ha i propri parametri. Abbiamo sviluppato il progetto “sketchel custom bag “    per creare una piattaforma che coinvolgesse molti artisti. Il nostro studio collabora anche con numerose realtà a diversi livelli, animazione, illustrazione, conferenze, progetti editoriali, design d’abbigliamento o di toys.

Il mio approccio generale, grazie ai miei studi di architettura , è quello di considerare la soluzione totale, infatti , quando progetto qualcosa, non considero solo l’idea, ma anche il modo in cui l’idea si potrà manifestare nella costruzione finale, e quali cambiamenti si debbano fare durante la strada. Durante il design dei toys, il concetto iniziale può cambiare molte volte per ragioni di produzione o limiti di budget. Oggi devi essere un designer flessibile per lavorare con aziende diverse in campi diversi, dall’abbigliamento ai toys ai libri. Ecco perché mi piace collaborare con grandi marchi come Converse dove la vera sfida è mantenere l’idea iniziale più a lungo possibile, continuando a lavorare entro vincoli produttivi. Trovo questo esercizio tanto affascinante quanto parte dell’arte, come l’arte stessa.

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Con la pubblicazione del libro Vinyl will kill you (a proposito a quando una nuova edizione? In Italia è introvabile) tu sei stato il primo a fare il punto sulla scena dei Designer Toys, contribuendo a far crescere l’interesse per questo fenomeno. Pensi che si possa parlare oggi di un vero e proprio movimento artistico legato alla produzione di Vinyl Toys?

Ho scritto e prodotto Vinyl Will Kill you nel 2004, con la Direzione Artistica di Megan Mair, ed è stato il primo libro al mondo sul movimento del toy design. Credo si sia cristallizzato in un movimento, è certamente un nuovo genere d’arte,  come il design di sneakers da parte degli artisti, e la sua valuta è simile a quella di un’edizione di stampe multiple in tiratura di 300 pezzi. Anche i prezzi di toys e stampe sono generalmente simili. Un’acquaforte firmata di Picasso è un’opera d’arte tanto quanto uno dei suoi dipinti , anche se molto più accessibile, ma sempre adatta ad un’asta. Questo principio generale si applica anche ai toys. Un toy firmato da uno dei tuoi artisti preferiti ha tanto valore quanto una sua stampa firmata, e merita di essere visto come una forma d’arte legittima, ed una parte dell’oeuvre dell’artista.

In tutto il mondo si stanno affermando forme d’arte dirette ad un pubblico più vasto di quello tradizionalmente interessato all’arte. Penso al Pop Surrealism americano, al Superflat giapponese, al Graffitismo e alla Street Art e, certo, anche al fenomeno dei Designer Toys. Non credi che sia in atto un salutare processo di democratizzazione dell’arte e che, contemporaneamente, nei circuiti tradizionali si stia radicalizzando l’idea di un’arte elitaria, diretta ad un pubblico ristretto e ad un collezionismo privilegiato?

Assolutamente si, e la tua citazione del Superflat è molto importante. L’anno scorso ero  alla mostra di Murakami  al MOCA di Los Angeles, ed è stato molto interessante vedere una quantità di suoi lavori “autorizzati” nelle loro nicchie illuminate , elevati quasi a degli assemblaggi di Damien Hirst , ai suoi “medicine cabinets”. I prodotti, le t-shirts di Murakami, le sue spillette, gli adesivi, i toys, erano elevati al livello di manufatti d’arte , balocchi rispetto alla sua produzione globale, ma comunque parte della totalità del suo lavoro, come il disegno per tessuti creato per LVMH. Tutti questi oggetti non erano venduti nello shop della galleria, ma facevano parte della mostra stessa, e  il tessuto di LVMH era incorniciato e venduto come opera d’arte.

É proprio questa democratizzazione dell’arte, quest’accessibilità al lavoro dell’artista per il grande pubblico, che ha sorpassato la tradizionale impostazione di galleria ed ha aperto la definizione di arte a nuove e maggiori possibilità. Duchamp lo ha fatto con i suoi readymades. Dalì lo ha fatto rendendo se stesso un’opera d’arte tanto quanto i suoi dipinti o le sue sculture. Warhol lo ha fatto con i suoi multipli , rimuovendo la mano dell’artista dall’opera d’arte. Murakami costruisce su questa tradizione. Fanno lo stesso KAWS, Sheperd Fairey, Bansky, Koons, Hirst. Questi artisti mi entusiasmano perché ognuno di loro è abbastanza coraggioso da sfidare la definizione di ciò che costituisce l’arte e di come viene rappresentata. Il recente superamento del contesto di galleria da parte di Hirst ed il suo approccio “direttamente all’asta” sono un interessante precedente.

Il mio obiettivo è di accorciare la distanza fra “prodotto” e “arte”, e di infondere in ogni oggetto che creo , sia esso un toy o un dipinto, lo stesso livello di pensiero ed attenzione al dettaglio ed al messaggio. Una t-shirt o un toy sono per me un “multiplo” come lo sono una stampa o un’acquaforte, ed altrettanto parte della produzione dell’artista quanto lo è un grande dipinto. È un momento entusiasmante della ridefinizione di cosa costituisce arte.

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Jeremyville è a tutti gli effetti un’azienda. Mi spieghi com’è strutturata?

Siamo uno studio di design operativo, abbiamo una divisione per i prodotti con agenti a Los Angeles , New York ed in Europa.  Portiamo inoltre avanti i nostri progetti , i dipinti, le animazioni, i toys, il progetto “sketchel custom bag”, le storie a fumetti, l’abbigliamento per il nostro store online, così come progetti commissionati direttamente dalle aziende . Partecipiamo solo ai progetti che catturano il nostro interesse e che possiamo portare a termine con grande creatività e professionalmente. Il nucleo principale dello studio è composto da Neil, Megan e me, lavoriamo con molti designers e fornitori, su  progetti specifici presso il nostro studio , sia presso le loro sedi. Siamo uno studio molto flessibile, io e Megan lavoriamo normalmente dal nostro studio a New York, e con i nostri portatili siamo pienamente operativi tre ore dopo l’atterraggio aereo. Disegno molto quando volo, non si perde tempo durante il viaggio.

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Parliamo nello specifico del tuo lavoro. Com’è nato il tuo linguaggio artistico? Intendo dire lo stile inconfondibile di Jeremyville?

Disegno ogni giorno ed ogni notte. Cerco di inventare una nuova iconografia, nuovi personaggi ed espressioni e storie. Facendo questo il tuo stile naturale evolve e diventa una parte di te, un vero specchio delle tue idee. È l’unico modo che conosco, non esiste una soluzione facile nello sviluppo di un nuovo stile. Ci vuole tempo e per me va bene così. Trovo affascinante il viaggio per approdare ad uno stile, perché a volte disegni un volto in un certo modo, o dei capelli, e sai subito che è solo la prima di molte volte in cui lo disegnerai così, perchè è nuovo, e giusto.

Quella sensazione di novità e di giustezza è ciò che cerco quando disegno, è quella connessione con qualcosa dentro di te, con quella sorta di verità che sta al di sopra di quello che sei. Sento che anche gli altri vi si possono identificare creando quella connessione. Il legame con il pubblico è tutto per me, senza opinione e senza connessioni, il processo dell’arte è alquanto vuoto.  Per questo mi piace parlare con le persone che amano il mio lavoro, su Facebook (4.500 amici) , o su Myspace (15.000 amici) , è quell’ “intimità universale” che sta al centro di ciò che cerco di fare con il mio lavoro, ed internet è il modo migliore per divulgare la mia arte. Penso che la mia arte sia parte del nostro tempo, penso parli un linguaggio capace di connettere fra loro molte persone. Non è un caso, questo è sempre stato uno degli obiettivi da raggiungere con la mia arte. Ero un bambino molto solitario, non avevo amici e non giocavo con nessuno, ora mi sto rifacendo su Facebook! Gli amici di internet sono i migliori! Certo ho un gruppo di amici adulti, da piccolo non ne avevo, ma non mi sono mai sentito solo. Disegnavo, giocavo con i Lego, facevo modellini di aeroplani, giocavo con i Puffi, guardavo un sacco di TV e cartoni! Ero sempre occupato e non mi annoiavo mai. Ricordo che ad ogni inizio di vacanza scolastica preparavo una lista di cose da fare, come costruire 4 modellini , creare un personaggio animato o costruire un trenino magnetico. Mi sono ricordato solo ora queste cose, mentre scrivo , lo avevo completamente dimenticato. Ancora oggi ogni settimana stilo una lista con quello che farò, dopo uno sguardo più attento direi che quell’abitudine che avevo ad 8 anni  mi stava preparando alle attività “project based” che faccio ora.

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In un intervista hai detto: “Un coniglio carino in un trip acido paranoico probabilmente riassume bene il mio stile artistico” (NdR: “A cute rabbit on a paranoid acid trip probably sums up my art style”). Quanto è importante nel tuo lavoro  l’influsso della cultura psichedelica?

Adoro gli anni sessanta. Adoro l’idea di un hippy. Penso di avere dentro di me un hippy che vuole uscire. Ogni tanto provo a farmi crescere la barba ma i miei amici mi fanno notare che è tempo di radermi! Mi relaziono molto con l’era di Robert Crumb, dell’arte psichedelica di Martin Sharp,  dei posters rock e degli  inchiostri  fluo su sfondo nero. L’idea che l’arte potrebbe cambiare il mondo , o almeno liberarti la mente per un attimo. Quando disegno, svuoto la mente e lascio che la penna prenda la sua strada sulla pagina, non uso prima la matita, disegno direttamente sulla pagina ed uso i colori direttamente sulla tela. Spero che questo senso di liberazione che io sento con la mia arte si trasmetta allo spettatore, e che anche lui possa sperimentarlo. Voglio tornare indietro ad un livello molto personale, disegnato a mano, individuale, ma anche radicato nel contesto storico, per avere un senso di familiarità con chi guarda, come se un cartone della Disney fosse esploso sulla sua faccia.

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Nel tuo stile c’è una contraddizione tra l’aspetto carino e positivo dei tuoi personaggi e una narrazione dai contenuti talvolta “crudi”. Credi che si tratti di una compensazione tra le forze positive e negative della tua personalità a far si che il tuo lavoro non possa essere descritto come semplicemente “fiabesco”?

La vita è fatta di contraddizioni ed opposti, ed ognuno di essi è bellissimo per me, non solo quello carino e grazioso. La morte può essere bellissima, così come il dolore e la perdita. Tutto è parte della condizione umana. Cerco di lottare con ogni aspetto dell’umanità nel mio lavoro. Così un bel coniglietto può piangere,  una ragazza può abbracciare dolcemente un mostro, è questa la dualità che cerco di catturare, perché la vita non è semplice ne’  logica, la tristezza si mischia all’amore in un istante, e  puoi sentire la malinconia in una giornata stupenda. Amo questa complessa stratificazione della vita.

Ho notato che nei tuoi fumetti c’è spesso una narrazione circolare… insomma, come se l’universo trovasse ogni volta un modo per ristabilire l’equilibrio.

Ottima osservazione, voglio anche che la storia sia quasi senza fine, come un sogno ricorrente, o una canzone che ascolti continuamente fino a quando non vi trovi qualcosa di nuovo : una nuance, una cambio di nota, un nuovo significato nelle parole. Voglio che i miei fumetti siano essenziali , stilisticamente, molto vuoti, ma anche molto ricchi e complessi in un senso narrativo. Abbastanza essenziali da permettere a chi guarda di reclamare il proprio senso narrativo, di riempire i vuoti, di farlo proprio.

La natura ciclica dei fumetti allude anche al fatto che nonostante le cose vadano bene o male, esiste sempre quell’equilibrio universale che trova la giusta misura e fa evolvere le cose. Inoltre, non importa quanto lungo ed accidentato sia il tuo viaggio nel fumetto, troverai sempre la strada di casa o la strada per una qualche conclusione universale, e per la verità. La tua osservazione è perfetta, mi piace che tu abbia colto questo dai miei fumetti, grazie, significa molto per me.

La natura e la città sono gli scenari in cui ambienti le tue brevi e fulminee narrazioni, che spesso toccano tematiche ecologiche. Credi che sia possibile fare politica attraverso l’arte in un modo che non ha nulla a che vedere con gli schieramenti politici?

Si, credo che la mia arte sia molto politica, ma non in un senso scontato. Si tratta più della politica dell’amore, della nostra relazione con la natura e fra noi. Ho sempre voluto che i miei fumetti potessero essere letti fra 200 anni ed essere ancora capaci di far riflettere e toccare le persone. Ecco perché non disegno fumetti d’attualità ed ho scelto di eliminare la lingua inglese, tranne che per i titoli, come “The End” o “The Flower”, che non vanno necessariamente letti per capire la storia raccontata. Voglio che siano piccole vignette della condizione umana, davanti a me ho altre migliaia di fumetti da disegnare, perché la condizione umana è infinita, ma il mio tempo sulla terra non lo è. Cerco di disegnare almeno un fumetto alla settimana, ne ho già molti pronti ma ancora da scansionare e colorare, altri sono solo schizzi , altri ancora solo parole.

Quando disegno un fumetto, penso ad uno stato d’animo, ad un’emozione, e cerco di esprimerla attraverso la narrativa ed uno stile riduttivo lasciandone aperta la fine, così che il lettore possa aggiungere i suoi ingredienti, le sue esperienze di vita, per dare ulteriore risalto alla storia. I personaggi sono spesso solo forme semplici, con solo un sopracciglio incurvato a suggerire preoccupazione, o un occhio chiuso per esprimere malinconia o introspezione. La loro forma non conta, e nemmeno il loro nome, mentre la storia che stanno veicolando è tutto.

La tua arte appare su ogni genere di oggetto, dalla tela ai toys, dalle borse alle T-shirt, fino agli skateboard e alle chitarre e, inoltre pubblichi libri, realizzi animazioni per la televisione, stampi serigrafie e disegni fumetti. Quali sono gli ambiti nei quali vorresti lavorare in futuro?

Quest’anno ho dipinto molto di più. Ho iniziato a dipingere a 17 anni, era la mia principale forma d’arte mentre studiavo architettura all’Università di  Sydney. Ora sono molto più concentrato sul mio stile pittorico, alcuni pezzi saranno rivelati durante questa mostra ad Area B, altri in molte collettive in programma quest’anno. Penso di aver raggiunto ora uno stile unico, chiamo i miei dipinti “Acid Pop” , sono psichedelici, paesaggi di sogno della condizione umana, pervasi da un lucido liquido ambrato che si indurisce per  tenere dentro il pensiero e preservarlo nel tempo. Come gli insetti antichi intrappolati nell’ambra di alberi  preistorici, sono vignette di un momento dimenticato ma fondamentale.

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Pensando a come è strutturata non solo la tua attività, ma anche quella di Takashi Murakami con la sua Kaikai Kiki, mi chiedo se il futuro dell’artista globale sia quello di diventare un’azienda. Che ne pensi?

Penso tu abbia ragione, ma naturalmente spetta ad ogni artista scegliere il proprio percorso. Il bello dell’arte è che può essere reinventata. Credo sia dovere degli artisti reinventarsi continuamente, mettersi alla prova, pur mantenendo un forte senso di ciò che sono, come artisti. L’idea di un’azienda è per me solo uno strumento con cui realizzare delle cose, non è un mezzo fine a se stesso. Dovrebbe sempre servire un proposito più grande, facilitare la diffusione dell’arte e delle idee. Quando ti trovi preso dai meccanismi amministrativi di un’azienda, dimentichi la ragione per cui l’hai creata originariamente. Tempo fa nel nostro studio lavoravano molte più persone, ma ci siamo ora organizzati all’essenziale per gestire tutto. Mi ero accorto che stavo diventando un datore di lavoro, invece di creare. Ho perso molto tempo così. Ci siamo ora strutturati in modo da massimizzare il mio tempo per creare, e minimizzare il tempo dedicato all’amministrazione. C’è un giusto equilibrio. Penso comunque di aver bisogno di una struttura aziendale che mi supporti per fare il mio lavoro al meglio, per me è liberatorio, offre alla mia arte infinite possibilità di evoluzione.

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Quali sono i tuoi progetti?

Cerco di mantenere il segreto sulle mie iniziative finché  non diventano pubbliche, ma ora sto lavorando su diversi grandi progetti, molto diversi da ciò che ho già fatto e molto impegnativi per me,e per il nostro studio. Penso sia uno dei miei lavori migliori e, se riuscirà come spero, sarà un progetto davvero speciale.

Informazioni su 'Ivan Quaroni'