L’immenso labirinto di Zagig

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Ogni tanto vi ammorbo coi miei ricordi da vecchio giocatore di ruolo. Magari possono tornare utili a parlare anche di narrativa. Anzi, precisiamo subito: va assolutamente smentita la convinzione che aver frequentato il mondo del role playing sia sufficiente a diventare dei bravi autori. Ma ci torneremo…
In questi giorni mi è tornato alla mente uno dei moduli di Advanced Dungeons & Dragons più divertenti e assurdi tra i tanti giocati: Castle Greyhawk, noto anche come Greyhawk Ruins (che è poi il nome con cui l’ho conosciuto io).
L’interno modulo riguarda l’esplorazione delle rovine di un’enorme castello abbandonato, costruito a ovest della Città Libera di Greyhawk. Il castello era un tempo la casa del potentissimo arcimago pazzo Zagig, che svanì nel nulla, lasciandosi alle spalle un sacco di misteri, di guai e di ambiti tesori.
Insomma, il classico dei classici delle trame da GDR fantasy.

Sotto le rovine del castello si estende un labirinto enorme. Una vera e propria città, composta da corridoi, stanze, caverne, pozzi, passaggi segreti, tombe, sale del tesoro, colonie di mostri dell’underdark e perfino sacche dimensionali.
La “casa” di Zagig comprende una decina di livelli per ciascuna delle tre aree del castello: la Torre della Guerra, la Torre della Magia e – appunto – la Torre di Zagig.
Un gruppo di esploratori deciso ad andare fino in fondo doveva essere estremamente motivato ed equipaggiato, perché di livello in livello il rischio di mortalità diventava altissimo. Anche ammettendo di riuscire a scendere nei meandri delle rovine, occorre mettere in conto un vero e proprio viaggio di diversi giorni, con tanto di razioni, strumenti per illuminare il percorso, cure, ingredienti per gli incantesimi dei maghi eccetera eccetera.

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Una sfida di crescente difficoltà, ma proprio per questo esaltante.
Sebbene la formula classica del dungeon crawler (esplora un labirinto, ammazza i mostri, prendi il tesoro) non rappresenti nulla di avanzato sul lato dell’intreccio della trame e dell’interpretazione dei personaggi, Greyhawk Ruins è in grado di offrire ore e ore di spasso e di adrenalina.
GDR vecchio stile, insomma. Mazzate, esplorazioni, ma anche un sapiente uso di risorse e strategie, per sopravvivere a un labirinto cazzutissimo.

Ricordo ancora oggi dei particolari veramente assurdi di questo dungeon.
Mostri quali il golem di diamanti (immaginate il costo della costruzione di un essere del genere!), caverne gigantesche abitata da intere comunità di troll (tra cui gli inquietanti troll spettrali, inventati per l’occasione), arene sotterranee, artefatti di spaventoso potere e altre piacevolezze.
E che dire di una piramide di ossidiana alta trenta metri, innalzata in una delle grotte più profonde del dungeon?

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Greyhawk Ruins va contro quella che è oggi la filosofia del role playing, essendo essenzialmente un’avventura composta da un susseguirsi di combattimenti, enigmi da risolvere e tesori da recuperare. Quasi un board game, o addirittura un videogioco.
Nei ruggenti anni ’80 (e nei primi ’90) gli RPG erano soprattutto questa roba qui, e tutto sommato ci si divertiva parecchio.
Da quegli stessi anni derivano alcuni aspiranti scrittori che credono di poter ricavare dei romanzi dalle loro vecchie campagne di gioco (molte delle quali erano derivative da moduli come quello di cui vi ho parlato). Purtroppo la cosa non funziona affatto, così come spesso non funzionano le novelization di videogame “sparatutto”.
La mancanza di spessore, i personaggi stereotipati e una serie di capitoli che descrivono unicamente battaglie e mostri rendono esperimenti del genere quasi totalmente insipidi e – paradossalmente – noiosi.
Manca del tutto la parte attiva, la possibilità di buttarsi nell’avventura in prima persona, di ingegnarsi per sopravvivere a insidie, trappole e magie mortali.
Ma la narrativa, anche quella fantasy, è un’altra cosa. Semmai degli esperimenti del genere funzionano se applicati ai librogame, ma non ai romanzi.
Perfino il tanto venduto R.A. Salvatore, che per un decennio buono ha furoreggiato anche nelle librerie italiane, ha prodotto pochissime cose memorabili. E il suo stile era proprio quello dell’EUMATE:

EUMATE è l’acronimo di “Entra Uccidi il Mostro Arraffa il Tesoro ed Esci” che indica un modo di giocare che privilegia l’aspetto tattico e di metagioco del gioco di ruolo, impostato all’esplorazione dell’ambiente e all’eliminazione degli avversari.

Davvero c’è qualcuno con più di diciotto anni che legge ancora robe così?

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(A.G. – Follow me on Twitter)

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