Intervista a Todolì. Il curatore che per Hangar Bicocca guarda sempre al futuro delle sue mostre.
R.F. “E’ dalla stagione 2012/2013 che lei, da Londra, è stato nominato direttore artistico di Hangar Bicocca. Abbiamo visto tante mostre – in modi ogni volta diversi – sempre stupefacenti e nuove. E’ un programma che nasce da delle intuizioni che lei ha, ho ha già un percorso delineato in mente?”
V.T. “Ogni volta che si viene a visitare una mostra si ha un impatto diverso perché con l’artista lavoriamo partendo dall’interazione dello spazio, che è sviluppata in maniera nuova, con un risultato mai banale. E’ quello che io chiamo “1+1 è uguale a 3”. Il mio lavoro curatoriale, applicato a quello dell’artista, attraverso la sua visione dello spazio di Hangar, ottiene una mostra nuova.”
R.F. “l’Hangar non è un luogo espositivo semplice. E’ molto grande e ha la presenza delle torri di Anselm Kiefer che incombono, anzi, che incombevano. Lei ha trasformato lo spazio.”
V.T. “Si, prima lo spazio era solamente uno. L’ho diviso in sezioni, lo Shed, le Navate – dove prima la presenza delle torri rendeva i progetti degli altri artisti più difficoltosi – e il Cubo. La presenza di Kiefer poteva essere vista come, in un grande teatro, chiedere a un’orchestra di suonare in presenza di un’altra che suona in contemporanea. Da quel momento, dal 2012, la navata centrale è stata ampliata per accogliere prime retrospettive italiane di grandi artisti internazionali.
R.F. “Un esempio di artista di fama internazionale che è stato presentato per la prima volta in Hangar?”.
V.T. “Quasi tutti gli artisti che sono passati di qui in questi ultimi anni sono artisti di fama internazionale che non avevano ancora avuto una grande riconoscimento in Italia. Basti pensare a Juan Muñoz e Damián Ortega adesso in mostra, o, tornando qualche mese indietro, a Joan Jonas, che quest’anno ha rappresentato come unica artista gli U.S.A. alla Biennale di Venezia.
R.F. “Spesso l’azione del curatore dipende da un’idea già predeterminata dell’artista. Mi pare che questo non sia il suo caso, o mi sbaglio?
V.T. “Io ho già la mostra in testa. E’ come una partita che mi prefiguro. E’ solamente quando sono sicuro che allora inizio a lavorare con l’artista. Per fare il programma di Hangar, ad esempio, ho chiesto un anno e mezzo di tempo e ho pensato a nove mostre consecutive.
R.F. “Dunque il programma di mostre è un unicuum che aderisce allo spazio?”.
V.T. “Si, il programma in questo caso è un tutto. Per questo ogni volta presento più mostre contemporaneamente. Il risultato è un percorso caleidoscopico che contiene un tutto con una forte identità.”
(Da Mi-Tomorrow, 22 giugno 2015).