Luciano Emmer //// le sue Parole dipinte

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Nelle librerie e nei bookshop dei musei è in distribuzione “Parole dipinte”, il cofanetto con 2 dvd di opere restaurate di Luciano Emmer, pubblicato dalla Cineteca di Bologna a cura di Paola Scremin, con un’interessante intervista al maestro, che la studiosa aveva incontrato anni fa per ricerche per la sua tesi, e con il quale iniziò un sodalizio che ha portato al recupero di alcune opere del cineasta. All’interno, in più di sei ore di documentazione, osserviamo silenziosi i macro e micro (Emmer racconta le opere fin dai loro dettagli) di grandi maestri della storia dell’arte, da Giotto a Hieronymus Bosch, da Carpaccio a Leonardo, da Michelangelo fino a Picasso, con inserti di cortometraggi e interviste.

Una digressione. Nel film “E’ stato il figlio” Daniele Ciprì racconta, come è sua abitudine, fin dai tempi della collaborazione con Franco Maresco, il degrado di Palermo. “Degrado” è la sua cultura, applicato esteticamente –certo con qualità di linguaggio e di regia- e moralmente. Nel film, in concorso a Venezia, si racconta di una famiglia sgradevole, immagine di un degrado violento. Genitori, figli, cognati, cugini. Obesi e sudati. Certo una precisa indicazione da parte del regista, che nel degrado si muove, appunto, a perfetto agio. C’è un’istantanea che mostra parte della famiglia –c’è anche Toni Servillo, bravo come sempre- sulla spiaggia, sulle sedie a sdraio, grassi e sudati, che parlano di argomenti minimi.

Questa premessa per introdurre, appunto, Luciano Emmer. Il grande regista milanese, uno dei maestri del nostro cinema storico, nel suo Domenica d’agosto (1950) racconta della spiaggia. Fu il primo film in quel senso, ne seguirono a decine. La spiaggia è quella di Ostia, la gente è il popolo romano di quel primo dopoguerra. La spiaggia era divisa, c’era quella per i ricchi e quella “aperta a tutti” dunque con varietà infinita di umanità. Anche lì, sulle sdraio, c’era gente non in perfetta forma, magari con chili di troppo, con gli uomini dai costumi ascellari di quell’epoca e con la cellulite, delle donne, che debordava. C’era Ave Ninchi sulla spiaggia, certo una che non faceva diete, c’era Franco Interleghi. Una descrizione del reale, con giudizio, ma velato. Perché Emmer con la macchina da presa raccontava storie di situazioni e stili diversi, dai film d’autore, appunto, ai caroselli, fino ai film d’arte, che lo hanno reso un divulgatore in un campo più complesso rispetto a quello cinematografico.

La scorsa settimana ho scritto su Andy Warhol, e sul suo cinema. Ho scritto di immagini, che l’artista della Pop art ha utilizzato attraverso ogni supporto che gli capitava, dalla tela, alla fotografia, al video. Di immagini trattasi anche per l’autore di oggi: Luciano Emmer (1918-2009). Emmer è stato un regista, un documentarista “originale” e uno sceneggiatore. Ma soprattutto un grande autore con un grande talento: è riuscito a ritagliarsi un limbo dopo anni di minuzioso e poetico lavoro elaborato attraverso immagini, pochi movimenti, poche parole, e tanta sostanza, e soprattutto unendo due linguaggi in una chiave molto semplice, ma che in pochi hanno superato. L’arte e il cinema. O meglio, parlare di arte attraverso il mezzo cinematografico in modo puro e completo. All’arte, ad autori come Michelangelo, Goya o Picasso non servivano parole superflue, montaggi bizzarri, aggiunte colorate. Bastavano i loro gesti e le loro opere. L’autore, con quei grossi occhiali dietro la macchina da presa, inseriva rispettosamente poche parole indispensabili, per dare ulteriore spinta alla narrazione. Un esempio su tutti: Emmer è in studio con Pablo Picasso (a Vallauris, 1955). Il pittore ha una maglietta bianca, è già anziano, ma lo sguardo penetrante e la forza nelle mani sono quelle che lo hanno reso “Picasso”. Davanti al regista prende una scala e incomincia, impugnato un carboncino, a dipingere su una parete, forse otto, dieci metri, con piccoli gesti, controllati, ma molto semplici, che via via delineano una figura perfetta nella dimensione, nella forza e nello stile. E Emmer riprende, con poche parole di sottofondo.

Il muro fu abbottato, inopinatamente da operai ignari, giorno dopo. Rimane solo nelle immagini del vecchio cineasta.

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