Jackson Pollock si sentiva un traditore, un bugiardo, quando nel 1951 diede il permesso all’amico Hans Namuth, fotografo e regista letteralmente sedotto dal modo di dipingere dell’artista americano, di riprenderlo al lavoro. “Traditore” perché non era più il solitario padrone del proprio spazio, libero nelle sue pratiche estreme e istintive, come gettare colore da tutte le parti. Ma era osservato, dunque limitato: “fissato” da una macchina da presa e costretto a dipingere su di un grosso vetro, dal quale la camera spiava gesti e schizzi che via via prendevano forma. Certo è che il modo di dipingere di Jackson Pollock affascinava e andava documentato. Non erano semplici pennellate su una tela appesa a un muro, ma un vero e proprio rituale, quasi una danza, che il pittore realizzava su supporti di grandi dimensioni, solitamente posate al suolo, sulle quali, strisciava e schizzava colori, inventore di una tecnica chiamata “dripping” – sgocciolatura.
Questo passaggio verso il pubblico è ben documentato nella mostra aperta a Milano, a Palazzo Reale, dove le prime sale sono appunto dedicate a Pollock come capostipite di una corrente definita in questo contesto degli “irascibili”. Lavori piccoli e raffinati di nere sgocciolature, e altri, precedenti, in cui l’artista sentiva l’influenza della pittura dei nativi d’America, o ancora personaggi mostruosi ripresi dalla pittura africana e dall’amore per Picasso. E poi quel video di Namuth: uno schermo posto in alto, orizzontale, che l’utente guarda sdraiato, per cogliere quell’immagine sospesa, come sono sospesi i gesti e le pennellate che quasi sgocciolano sopra il pubblico. Il video riprende le azioni e le parole dell’artista americano, dentro e fuori dal suo studio nei campi di Springs, vicino a New York. Ed Harris, ammiratore del pittore dell’Espressionismo americano, realizzò un film firmando la regia, dando corpo e volto all’artista. Quell’artista che aveva, insieme ad altri “maledetti”, rivoluzionato dopo la guerra un certo modo di fare arte, che dall’Europa – in particolare da Parigi – si era trasferito sul fronte dell’East Coast americano, a New York. Ed Harris narra la vita di Pollock dall’incontro con Lee Krasner, sua moglie e notevole pittrice espressionista – alcuni lavori sono in mostra a Milano – nel film interpretata da Marcia Gay Harden che vinse l’Oscar. Vasto spazio è riservato al sodalizio con la leggendaria collezionista Peggy Guggenheim. Molto rappresentata è la fase degli anni ’50, quando Pollock diventa un personaggio noto anche per il suo stile cosiddetto hipster. Dettagli importanti che Luca Beatrice, curatore della mostra, descrive in un video, citando punti di riferimento cinematografici, musicali e stilistici del periodo: dalle giacche in pelle alle t-shirt nere e i jeans strappati; da James Dean e Marlon Brando, “i maledetti” del cinema; da Elvis alla motocicletta. “Pollock e gli irascibili” racconta in un percorso sintetico e chiaro, ma pulito e con opere quasi inedite in Italia (la maggior parte provengono dal Whitney Museum di New York, o da collezioni private d’oltreoceano): una cinquantina di lavori dei maestri dell’Espressionismo americano, dall’Action painting di Pollock, alla matericità di De Kooning, alla Colour field painting di Kenneth Noland, Morris Louis, Mark Rothko, Barnett Newman o Helen Frankenthaler, moglie di Robert Motherwell, l’artista che, come Franz Kline, lavorava attraverso gesti segnici neri. E poi i maestri, come Hans Hofmann, con cui il futuro gruppo degli “irascibili” aveva studiato e ripreso le esperienze europee, chiare soprattutto in artisti come Arshile Gorky, o ancora Gottlieb (nella foto di copertina). Opere importanti, di grandi dimensioni, come “specchi contemplativi”, secondo le parole del curatore, in cui artista e fruitore possono riflettersi e assistere a un’energia radicata in quel periodo storico, rappresentata da personalità e talenti che non si sono ripetuti nel loro genere, e che hanno lasciato grandi eredità e segni. (da mymovies.it | 7/10/2013)