Quando morirò non piantate un salice sulla mia tomba, ma una macchina da scrivere.
Così lasciò scritto Enrique González Tuñón, scrittore argentino della prima metà del Novecento, che con le parole provò a contenere il male di vivere e a riscattare l'inesorable richiamo dei margini e dei bassifondi. Così dipanò le storie dei perdenti, si perse in conversazioni da bar e bevute fino al mattino, morì troppo presto lasciandoci il sospetto di un talento in parte inespresso. Nel suo ultimo libro - La strada dei sogni perduti - parlò degli uomini che perdono i loro sogni. E non è come per gli oggetti smarriti, che ogni tanto si ritrovano.
Nessuno, che io sappia, ha mai restituito un sogno. Nessuno.
Nella sterminata prateria della letteratura sudamericana - o anche solo argentina - ecco ora rispuntare la sua figura troppo facilmente dimenticata. Merito della casa editrice sarda Arkadia, con la sua collana Xaimaca che, curata da Marino Magliani e Luigi Marfé, punta a restituirci le voci di scrittori di un continente che non finisce di sorprendere.
Letti da un soldo è una raccolta di racconti che girano intorno a cinque persone che gli americani chiamerebbero losers. La risacca della vita li ha sospinti in un albergo che è una stamberga, dove si dorme al prezzo di un peso e con almeno un occhio aperto per guardarsi da topi e ladri. La fame è loro compagna, amplifica le sensazioni, inasprisce gli animi, succhia energie. Ma ancora più devastante sono la malinconia, il rimpianto, il sentimento dello spreco.
C'è più passato che futuro. Ma c'è anche il presente di una Buenos Aires in tutto il suo fervore, in cui ogni strada è un groviglio di umanità. Ci sono moli, bordelli, caffè. Tossici, puttane, spie incrociano i loro destini con quelli di poeti mancati e di anarchici votati alla sconfitta. E a notte rimane solo l'eco di un tango, come una luce prima del risveglio: poi tutto sarà ancora più difficile.