Anche l'insolita comitiva che compare all'inizio del libro, in marcia verso una sconosciuta località balcanica, sembra rispondere a questa esigenza. Scomparire per cercare pace, per scansare il peggio. Del resto cosa può fare un padre con un figlio condannato da una malattia senza speranza? Tanto più che il mondo intero sembra barcollare sul ciglio del precipizio, in quel giugno del 1938.
Forse la risposta, se esiste, si potrà trovare solo puntando al sud: verso il mare e poi verso un improbabile hotel nell'entroterra, mentre a Parigi stanno per cominciare i Mondiali di calcio.
Non conoscevo Miljenko Jergović, scrittore di Sarajevo che verrebbe da definire di culto, malgrado in Italia sia ancora poco conosciuto e finora pressoché introvabile. Meno male che ci ha pensato Bottega Errante, editore friulano bravoa splancarci diverse finestre sulla letteratura balcanica, con un libro, Radio Wilimowski, allo steso tempo intenso e spiazzante.
Wilimowski, anzi, Ernest Wilimowski è una leggenda del calcio polacco, perché a Parigi riuscì a segnare quattro gol al Brasile -e mai nessuno è arrivato a tanto in una gara ufficiale. Polacco, ma anche tedesco: uomo della Slesia, per l'esattezza, prima che i successivi eventi recidano legami e identità, sospingendo per una volta per tutte a un'appartenenza piuttosto che all'altra.
E chissà che cosa succederà di questo padre - un professore in pensione di Cracovia - chissà quanto tempo ancora resterà da vivere a suo figlio David.
Nel frattempo c'è questa partita che pare ancora più vera ascoltata alla radio che seguita con la batteria di telecamere di oggio. C'è la magia delle parole dello speaker e c'è la sensazione di un'impresa irripetibile. E dopo, dopo c'è anche la sconfitta, come quasi sempre capita: ma intanto si può ancopra sognare, in questo angolo sperduto di mondo. E respirare gli odori dell'Adriatico, abbandonarsi al vento.