Galleria Bonioni Arte, Reggio Emilia
5 ottobre – 17 novembre 2013
LUCA MOSCARIELLO. Sotto i cardi
a cura di Ivan Quaroni
La nuova stagione espositiva della Galleria Bonioni Arte di Reggio Emilia (Corso Garibaldi, 43) si apre con la personale di Luca Moscariello, a cura di Ivan Quaroni. Realizzata in occasione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI, associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, la mostra sarà inaugurata sabato 5 ottobre, alle ore 17.00. Il titolo dell’esposizione – “Sotto i cardi” – fa riferimento ad una scena del libro “Così parlò Zarathustra” di Friedrich Nietzsche, in cui il protagonista si allontana dal mondo degli adulti, caratterizzato da aridità e ipocrisia, per rifugiarsi «sotto i cardi, dove giocano i bambini…». Come spiega, infatti, il curatore, «Le opere di Luca Moscariello presentano caratteri ludici e scenografici. Un’antologia di oggetti, simboli e luoghi comuni, assemblati in una sorta di trappola visiva, senza possibili vie d’uscita. Un caos regolato all’interno del quale si fondono elementi tipicamente mediterranei ed esperienze nordiche, dall’immobilità metafisica alla Scuola di Lipsia». In mostra, una quindicina di opere inedite, parte della serie “La grammatica della polvere”, realizzata dal 2011 al 2013. Dipinti ad olio su tavola di diverse dimensioni, caratterizzati dall’accumulo di oggetti che, come la polvere, testimoniano il passare del tempo. L’esposizione sarà visitabile fino al 17 novembre 2013, da martedì a domenica con orario 10.00-13.00 e 16.00-20.00, chiuso il lunedì. Ingresso gratuito. Catalogo disponibile in galleria (Ed. Bertani, 2013). Per informazioni: tel. 0522 435765 – www.bonioniarte.it – info@bonioniarte.it.
Luca Moscariello nasce nel 1980 a San Giovanni in Persiceto (BO). Diplomatosi in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, prende parte a diverse esposizioni. Tra le mostre personali, “La grammatica della polvere” (Museo Ca’ La Ghironda, Ponte Ronca di Zola Predosa, Bologna, 2011, a cura di Graziano Campanini), “Anacronismo” (Galleria il Melone, Rovigo, 2011), “L’inventario del sonno” (Galleria Il Ponte, Pieve di Cento, Bologna, 2009, a cura di Graziano Campanini e Valerio Borgonuovo), “Memoria e materia” (Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento, 2008, a cura di Valerio Borgonuovo e Anna Voltolini). Tra le mostre collettive, “Acqua riflettendo” (Spazio San Giorgio, Bologna, 2013, a cura di Simona Gavioli), “Premio Zingarelli Rocca delle Macìe 2° edizione, Il giardino del Getsemani” (Rocca delle Macìe, Castellina in Chianti, Siena, 2012, a cura di Simona Gavioli, su segnalazione di Valerio Dehò), “Le cose hanno il potere che tu gli dai” (Spazio Thetis, Venezia, 2011, promosso da scatolabianca project, direzione scientifica Martina Cavallarin, a cura di Alice Andreoli e Giulia Pasdera), “L’antico incontra il contemporaneo” (Galleria Fondantico, Bologna, 2010, a cura di Pietro Di Natale) e “XII Premio Morlotti” (VIlla Subaglio, Mercate, Lecco, 2009). Vive e lavora a Sala Bolognese (BO).
LUCA MOSCARIELLO Sotto i cardi a cura di Ivan Quaroni 5 ottobre – 17 novembre 2013 Inaugurazione: sabato 5 ottobre 2013, ore 17.00 Orari di apertura: da martedì a domenica ore 10.00-13.00 e 16.00-20.00, chiuso il lunedì. Per informazioni: Galleria Bonioni Arte Corso Garibaldi, 43 42121 Reggio Emilia Tel/Fax 0522 435765 www.bonioniarte.it info@bonioniarte.it Ufficio Stampa: CSArt Comunicazione per l’Arte Via S. Pietro Martire, 16/A 42121 Reggio Emilia Tel/Fax 0522 1970864 www.csart.it info@csart.itTesto critico
Sotto i cardi, nascosto in piena vista.
Crestomazia di Luca Moscariello.
di Ivan Quaroni
Il cardo è una pianta conosciuta anticamente per le sue proprietà disinfettanti. Serviva a cacciare i vermi dagli animali. Nel De virtutibus herbarium dello Pseudo Apuleio, colta quando la luna è nel segno del Capricorno, si dice che svolgesse un ruolo protettivo contro ogni male. Inoltre, l’involucro che circonda il suo capolino con una corolla stellata, ne faceva un simbolo solare. In qualche modo, la sua funzione apotropaica, di feticcio organico, ci rimanda al summenzionato gesto di Zarathustra. Nel capitolo intitolato “Dei dotti”, il protagonista del romanzo filosofico di Nietzsche si rifugia sotto i cardi e i papaveri, dove giocano i bambini, in un luogo che non offre ombra, né alcun refrigerio che l’innocenza dell’infanzia. Per Luca Moscariello i cardi sono, dunque, metafora di una condizione interiore di vitalità e creatività tipica della fanciullezza. Andare sotto i cardi, significa prendere commiato dagli adulti, disconoscere i valori precostituiti, le false morali della maturità, per recuperare l’energia e il vigore originari.
I titoli sono sempre stati importanti per Moscariello, non tanto perché possono svolgere la funzione didascalica di fornire all’osservatore una chiave interpretativa delle sue opere. Piuttosto, perché costituiscono un prologo o un proseguio del percorso, una sorta di attributo del racconto, non immediatamente riconducibile all’oggetto della rappresentazione. “Quello che cerco”, spiega l’artista, “non è mai un titolo didascalico, che identifichi e spieghi l’opera, ma un oltre o un pre”, ossia, come credo, una possibile estensione cognitiva (e immaginifica) dell’opera oltre lo spazio e il tempo della visione. La sua è, infatti, una pittura espansa, che trabocca, per troppa pienezza, oltre la pittura stessa, esondando, attraverso l’immaginazione sensibile, nel piano delle facoltà intellettive. Questa eccedenza, questa plenitudine è, forse, il dato più sintomatico della ricerca dell’artista, i cui dipinti ci appaiono, appunto, come gremite antologie di oggetti, crestomazie affollate di simboli, feticci, segnali. E’ una congerie che si offre allo sguardo smarrito dell’osservatore come summa labirintica d’immagini, di vertiginoso, studiatissimo, horror vacui, in cui è lecito scorgere un’attitudine barocca per la mise en scene, per l’allestimento teatrale di una sorta di metafisico caos calmo, sovraccarico di falsi indizi, digressioni, mascheramenti.
L’idea dell’artificio, che è appunto elemento precipuo della retorica barocca, è mutuato dall’immaginario ludico infantile. Il gioco è una finzione poggiata su di una struttura rigida di regole esatte, che ne regolano lo svolgimento. Per Moscariello, è una disciplina che attiene l’enumerazione e l’elencazione di forme, le quali producono una trama fitta di significanti, che si accatastano l’uno sull’altro, a creare inedite corrispondenze. Ciò che, infatti, per Baudelaire è la natura, per Moscariello è la pittura: “un tempio, ove pilastri viventi mormorano confuse parole”. La finzione assume, quindi, la fisionomia dell’affastellamento iconografico, perché – come afferma l’artista – “ogni elemento decontestualizzato offre già la propria speculazione allegorica, mentre il suo innestarsi con altri tradisce una volontà di mascherarsi per far perdere le proprie tracce”.
Ed è proprio il mormorio confuso delle immagini, ossia il silenzio uniforme ed eguale degli oggetti, il vero dispositivo dell’inganno, la micidiale trappola che imbriglia lo sguardo in una sorta di labirintite. La plenitudine annulla l’ordine gerarchico e induce a chiedersi dove guardare. Ma soprattutto, cosa cercare. Il gioco di Moscariello, il motivo del suo ritrovato entusiasmo creativo, consiste nel nascondere il feticcio infantile in una pletora di significanti, in una congerie, dicevamo, di enunciati. Come in un enigmistico divertissement, l’artista sfida l’osservatore a ricostruire un proprio ordine nel caos. Ed è una sfida crudele, consona all’innocente cattiveria dei bambini, i soli capaci di nascondere un oggetto laddove non lo cercheresti mai. I massoni usano l’espressione “nascosto in piena vista” per indicare un segreto occultato alla luce del sole (di cui abbiamo detto che il cardo è un simbolo). Essa ha un duplice significato. Il primo è mimetizzare un oggetto tra altri simili. Ad esempio, una matita in un portamatite. Il secondo è dimostrare che spesso ignoriamo le cose che ci stanno davanti perché siamo abituati alla loro presenza o perché siamo troppo concentrati su noi stessi. Per spiegare questo trucco, l’artista ricorre all’immaginario popolare della letteratura per l’infanzia. “Il primo passo”, racconta, “è stato riscoprire i miei vecchi libri di Richard Scarry, in cui l’autore invitava il lettore a stanare Cirillo (un piccolo grillo) in una moltitudine di oggetti. Un’operazione analoga si ritrova nei libri di Martin Handford, dove Wally è inserito in sterminati scenari brulicanti di personaggi, spesso somiglianti al protagonista”. Accettare la sfida di Moscariello significa, quindi, orientarsi in una catasta di entità che, solo pretestuosamente, assumono la foggia di reliquie. Sono animali simbolici di un bestiario in disuso, cani, maiali, rospi, pecore; oppure oggetti di scarto, scatole di cartone, bambolotti, vecchie trottole, paraventi, complementi d’arredo, festoni, origami, areoplani di carta; o, ancora, tracce del presente, paletti di misurazione, canotti, segnali stradali su cui si deposita la polvere del tempo.
L’artista immerge questa crestomazia di feticci in una calda luce meridiana, in un’atmosfera immobile, in cui è lecito ritrovare tanto l’eredità metafisica di De Chirico, quanto l’allucinata fissità dei pittori del Novecento, la matrice italiana di Valori Plastici e quella germanica della Neue Sachlickeit. Il suo è, infatti, un lavoro profondamente latino nella luce e nel colore, molto meno nella struttura compositiva, che, invece, richiama le ricerche di alcuni artisti provenienti dalla Leipzig Hochschule für Grafik und Buchkunst. Penso a Matthias Weischer e David Schnell per l’anticlassica gestione dello spazio e soprattutto per l’inconfondibile propensione all’abbozzo e all’incompiuto. Elementi presenti in molte tavole di Moscariello, dove l’accenno di campitura, il gesto inconcluso e la traccia cancellata denunciano l’impiego di una tecnica contradditoria, erratica, che procede per progressive revisioni, tra ripensamenti, verifiche e improvvise epifanie. “Nell’incedere paratattico della mia pittura”, rivela l’artista, “ogni gesto contraddice il precedente, ogni processo è interrotto da un imprevisto, e ogni imprevisto è nuovamente corretto”. Si potrebbe definire un modus operandi nomadico, se il concetto non fosse così logoro e frusto da condurci fuori strada.
La verità è che, nel linguaggio di Moscariello, la tensione costruttiva supera quella distruttiva e le asserzioni esuberano, in numero e in forza, le negazioni. Insomma, l’elemento classico dell’equilibrio alla fine prevale. Gli errori e i ripensamenti confluiscono in una grammatica solida, e diventano lemmi, vocaboli di una lingua che corrobora il gioco finzionale della pittura. Così se è vero, come affermava Alberto Savinio, che “la Grammatica è un fatto a posteriori, e tanto basta a screditarla”, altrettanto vero è che la partita della pittura non può che giocarsi sul terreno del conflitto tra realtà e finzione, tra morfologia e sintassi. Così, la pittura si mostra nelle sembianze di apparato scenico, di studiatissima menzogna, in cui apparenza e sostanza cospirano entrambe alla costruzione di un mistero. Mistero che, come voleva Savinio, “sarebbe indelicato chiarire”. Pena la sua definitiva compromissione.