Ne vale la pena?

ne vale la pena

Qualche giorno fa un noto editore italiano ha snocciolato su Facebook una serie di dati riguardanti le pubblicazioni effettuate dalla sua CE: poco più di mille ebook messi online in una manciata di anni, con vendite che si attestano sulle 75.000 copie totali.
I numeri impressionano solo chi non li sa interpretare: è bastato fare quattro conti per arrivare alla triste consapevolezza che questo editore ha venduto una media di 75 titoli a ebook.
Esatto: una miseria. Considerando che non si tratta di self publishing, bensì di editoria classica, le royalties per gli autori devono essere bastate sì e no per pagare un paio di pizze (margherita, senza mozzarella di bufala).
Parliamo chiaramente di una media. Ci sarà l’ebook che ha venduto 300 copie e quello che ne ha vendute 2. Ma alla fine la differenza non è poi tanta.
Da questo semplice calcolo sono nate alcune osservazioni.
Vi risparmio quelle sull’opportunità, da parte di una CE, di saturare il mercato con una mole tanto grande di ebook. Ne parleremo un’altra volta.
Oggi mi concentrerò sulla domanda che più viene spontanea, leggendo questi dati: ma vale davvero la pena dedicarsi alla scrittura?


La risposta d’istinto è: no, non ne vale la pena.
Soprattutto se per voi la scrittura non è soltanto un passatempo (sì, molti la intendono così), bensì un investimento di tempo e denaro.
Entrambi – tempo e denaro, appunto, sono troppo preziosi per essere buttati al vento.

L’abbiamo già detto altre volte: per scrivere bene – cosa che è possibile fare anche da autori indie – occorre investire dei soldi. Lo si fa per avere un editing professionale, una grafica degna di questo nome, ma anche per promuoversi sui social, o in altri contesti simili, dove nulla è gratuito (ed è giusto che non lo sia)
Sul tempo, beh, non credo ci sia molto da aggiungere.
Prendete me: qualcuno dice che io pubblico “tanti ebook”. Può essere vero, ma io scrivo praticamente tutti i giorni, sacrificando sull’altare della scrittura altre attività giovanili (uscite settimanali, ore dedicate alla TV e al cazzeggio con gli amici etc etc).

scrivere di notte

Tutto questo per vendere poche centinaia di ebook?
Spesso rientrando a malapena nelle spese? (E, no, molti autori nemmeno riescono a pareggiare i conti, ammettiamolo).

Eppure secondo me ne vale la pena.
Non per il “fuoco sacro” della scrittura, che mi è parso sempre un elemento eccessivamente romantico, abusato, melenso e inappropriato.
No, ne vale la pena perché ogni energia spesa per realizzare un buon lavoro, un lavoro che piace in primis a noi che lo realizziamo, e quindi a chi ne usufruisce, non è mai energia sprecata.
E io sinceramente non conosco altri approcci al lavoro, se non quello di cercare di farlo bene.

Una delle affermazioni più avvilenti lette a corredo del famoso post citato all’inizio di questo articolo l’ha fatta un autore di quelli pubblicati col nostro bell’editore.
In sostanza suona più o meno così:

Ho venduto poco, sì, ma sono stato pubblicato con una casa editrice, e comunque per fortuna ho un vero lavoro con cui pagarmi da mangiare.

Ci sono due cose sbagliatissime, in questo commento.
Chi l’ha lasciato è un autore che evidentemente non crede a quello che scrive (e a come lo fa). Non crede nella bontà del suo racconto, quindi se non vende, chissenefrega, “era prevedibile”.
E se non ci crede lui, perché dovrebbero farlo i lettori?
La seconda cosa sbagliata – probabilmente involontaria – riguarda l’insista consapevolezza che in fondo scrivere non è un lavoro, bensì una “passione”. Un hobby. Se proprio va bene, un dopolavoro.

Anch’io svolgo un’altra professione tuttavia, come i miei lettori di lungo corso sanno già, fin dal primo giorno mi sono posto l’obiettivo di fare della scrittura il mio unico lavoro.
Sapevo allora – e ne ho avuto conferma negli anni – che si tratta di un obiettivo difficilmente realizzabile. Forse occorrerà qualche decade, per poter vivere di scrittura. Però la meta, utopica o meno che sia, non cambia.
Ciò mi porta a lavorare sempre al meglio delle mie capacità, poche o tante che siano.

Quindi sì: ne vale la pena.
Sempre.

lavorare bene


(A.G. – Follow me on Twitter)

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