Con oggi riprendo (e proseguo) la mia rapida analisi dei generi derivati dalla grande famiglia del “-punk” (da taluni denominata “punk punk”), iniziata col 2015, grazie agli articoli dedicati a clockpunk, sandalpunk e stonepunk.
Questa volta facciamo un salto in avanti nel tempo, e anche bello grosso, e parliamo del singolarissimo filone del teslapunk.
Cronologicamente parlando, le storie teslapunk si pongono tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900, coprendo l’arco vitale del geniale scienziato Nikola Tesla, da cui il genere prende il nome (1856-1943). In tal modo tali storie si collocano immediatamente dopo lo steampunk e appena prima del dieselpunk, spesso sovrapponendosi a quest’ultimo sottogenere.
Ma di cosa stiamo parlando?
Il teslapunk, che forse sarebbe più corretto scrivere con l’iniziale maiuscola, immagina un mondo rivoluzionato, in parte o totalmente, dalle invenzioni di Tesla. In particolar modo, le storie di questo filone ipotizzano una società che sfrutta una forma di energia pulita, di larga diffusione e di potere/portata simile all’energia elettrica, ma alternativa a essa (così come al vapore e ad altre fonti abitualmente usate/conosciute, atomo compreso).
Parliamo di teorie ancora oggi molto discusse e controverse (soprattutto negli ambienti complottisti, a dire il vero): dalle turbine Tesla agli esperimenti di trasmissione di energia tramite onde radio, senza dimenticare la possibile creazione di temibili armi a raggi attraverso lo studio della repulsione elettrostatica, e altre piacevolezze. Secondo lo scienziato serbo/americano, lo studio e lo sviluppo di tali tecnologie avrebbero potuto portare a invenzioni straordinarie, come finanche dei pod per il teletrasporto e dei radiotrasmettitori in grado di proiettare segnali nello spazio profondo.
Nelle varianti distopiche del teslapunk, che poi risultano essere le più divertenti, tale energia è invece in possesso a poche élite, che ne fanno uso per i propri scopi, spesso di stampo dittatoriale o guerrafondaio.
Elementi ricorrenti del filone sono armi e macchinari azionati tramite l’energia in questione, non di rado robot, mecha o piacevoli mix tra di essi.
Come spesso accade per questi deliziosi ma poco noti sottogeneri del “-punk”, anche il teslapunk ha finora avuto uno sviluppo più che altro teorico e artistico che non pratico.
Esistono molte illustrazioni che immaginano una società (o delle avventure) di questo tipo, ma i film e i libri che riguardano il teslapunk sono relativamente pochi.
Si contano invece molte opere che presentano singoli elementi riconducibili al teslapunk, calati in storie di respiro più classico (su di tutte, il pulp vecchio stile e il genere avventuroso).
Non amo l’autocitanionismo, ma un tentativo di utilizzare il teslapunk in un contesto superoistico è stato fatto per esempio dal sottoscritto, e da tutti gli autori partecipanti a Due Minuti a Mezzanotte. I “super” di questo scenario di scrittura condivisa devono le loro mutazioni alla Teleforce scoperta/studiata da Nikola Tesla.
Certo, l’ambientazione è contemporanea e ucronica, ma ciò non toglie nulla all’atmosfera deliziosamente “-punk”.
Citando il vecchio blog dell’amico e collega Davide Mana, vi rimando poi a questo suo articolo, in cui vengono citati un paio di testi immancabili per chi si vuole calare nel mondo di Tesla e nel teslapunk.
Personalmente ho dei ricordi molto cari legati al videogioco Blood II: The Chosen (Monolith Productions), in cui alcune delle armi a disposizione del protagonista, il vendicatore dannato Caleb sono i potenti Tesla Cannon, fabbricati dalla luciferina multinazionale Cabalco.
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