Naked and Afraid

nudi-e-crudi

Mi è capitato di vedere questo docudrama statunitense, Naked and Afraid, da noi trasmesso su DMAX col titolo meno riuscito di Nudi e Crudi.
Due esperti di sopravvivenza, solitamente un uomo e una donna, vengono lasciati in territorio “ostile”, nudi come sono venuti al mondo, equipaggiati con un solo strumento a testa (fiammiferi, coltello, corda… robe così), e con una handycam per registrarsi a vicenda.
Scopo del gioco: sopravvivere tre settimane, cercando di raggiungere un luogo di estrazione concordato in precedenza con la produzione. Il tutto attraversando foreste, savane, torrenti, tra animali potenzialmente pericolosi, vegetazione fitta e impervia (provate a passare voi tra rami e spine a piedi nudi) e temperature molto calde o molto fredde.
L’intervento dei cameraman e concesso solo in caso di gravi rischi alla salute dei concorrenti.
Follia, ovviamente. Eppure Naked and Afraid è già alla terza edizione.
Assistendo a questo spettacolo non si può fare a meno di riconoscere che il vecchio Stephen King ci aveva già preso nel 1982, scrivendo The Running Man

Dal romanzo, come è noto, è stato poi tratto il celeberrimo film con Arnold Schwarzenegger. Un cult degli anni ’80, che però con la storia di King ha poco da spartire. Quasi nulla.
Citando Wikipedia (sono pigro, lo so):

In una cinica America del XXI secolo, precisamente nell’anno 2025, la società vive divisa fra povertà estrema ed immensa ricchezza, analfabetismo, disoccupazione, inquinamento atmosferico ormai irreparabile, malattie croniche e degrado. Le menti dei cittadini sono dominate dalla tri-vu – televisione tridimensionale – che ogni famiglia è obbligata a tenere in casa e che per quasi tutte e 24 le ore del giorno trasmette giochi e show atti a generare sentimenti di odio e ilarità.

Nello specifico, gli show a cui fa riferimento questo pezzo sono veri e propri reality estremi, in cui spesso è contemplata la possibile morte dei protagonisti.
La punta di diamante del network è L’Uomo in Fuga, il gioco più seguito dagli americani.

the-running-man

Il protagonista, braccato da uno squadrone di mercenari chiamati Cacciatori e da qualsiasi persona lo riconosca, guadagna 100 nuovi dollari americani per ogni ora cui rimane in vita, 500 per ogni pubblico ufficiale ucciso e, se alla fine dei 30 giorni di durata del gioco è ancora vivo, la cifra astronomica di 1 miliardo di dollari. Durante la fuga, al concorrente è permesso cambiare stato, paese, camuffarsi e procurarsi armi di difesa.

Il romanzo fila via che è una meraviglia e, riletto oggi, sembra maledettamente attuale. Non ci sono grandi differenze concettuali tra Naked and Afraid e The Running Man. Entrambi i giochi puntano sulla capacità dei concorrenti di cavarsela in situazioni di estrema difficoltà ma, ancor di più, fanno leva sulla seta di sangue del pubblico.
La voglia di vedere i concorrenti umiliati e privati delle dignità umana è una componente essenziale di spettacoli del genere. Certo, qualcuno empatizza coi concorrenti medesimi, ma solo dopo averli visti piangere, soffrire, spogliarsi di buona parte della loro rispettabilità di cittadini civili e maturi.
Leve facili da utilizzare, per chi lavora nei mass media e in un certo tipo di produzioni televisive. Tra l’altro sono show dai costi relativamente bassi, che consentono un guadagno elevato ai network che li finanziano.

Perché, dunque, non realizzare direttamente la versione reale di The Running Man?
I tempi sono maturi. I concorrenti non mancherebbero, anzi. Ce chi lo farebbe per i soldi e chi per la fama. Non è mai esistita un’epoca più intrisa di protagonismo come questa in cui viviamo, quindi ci sarebbero le file fuori dagli uffici dei casting.
File già viste per le vecchie edizioni del Grande Fratello, tra l’altro. Nulla di nuovo.

La grande differenza tra fiction e realtà lo fa soltanto una cosa: il tabù della morte in diretta. Molti di questi show, come Naked and Afraid, mettono i partecipanti a rischio di ferite e intossicazioni varie. ma nessuno di essi prevede esplicitamente di lasciare il concorrente a morire.
Credo che ciò dipenda soprattutto dalle gravissime conseguenze legali che deriverebbero dal decesso in diretta di uno dei partecipanti, non da un reale rispetto del sacro valore della vita.

Ma i concorrenti stessi, se messi nelle condizioni di scegliere, e potendo ipoteticamente rinunciare a ogni tutela legale (anche postuma), sarebbero disponibili a rischiare la pelle in un game show senza limiti etici?
Secondo me sì. Eccome.
Non è un concetto molto lontano da quello di certi sport estremi, almeno a livello di rischio fisico.

Pensate a una vera edizione de L’Uomo in Fuga.
Oggi sembra ancora improbabile che venga realizzato qualcosa del genere, ma secondo me si tratta solo di aspettare qualche anno. Non molti.
Che esistano diversi milioni di americani disposti a votare un elemento come Donald Trump è un chiaro segnale di dove e come sta andando il genere umano. Io poi ce lo vedo, uno come Trump, a promettere la grazie ai jihadisti pentiti, a patto che riescano ad arrivare vivi a un’edizione de L’Uomo in Fuga.
Peccato che, come King insegna, spesso questi giochi sono truccati.

Kellie Nightlinger and Erroll James Snyder (EJ).


(A.G. – Follow me on Twitter)

Segui la pagina Facebook di Plutonia Experiment

Archiviato in:acceleratore quantico, doom, libri

Informazioni su 'Alessandro Girola'