Se nel 1950 fosse stata utilizzata un’atomica in Corea

La fine della Seconda Guerra mondiale, con la conseguente sconfitta dell’Impero del Sol Levante, aveva lasciato un enorme e pericoloso vuoto di potere in Oriente.
La Cina, che poteva considerarsi una delle nazioni vincitrici della WWII, era una potenza emergente, molto lontana dall’essere economicamente forte e militarmente pericolosa (come lo è ora, per capirci). Tra le intenzioni dei comunisti cinesi c’era quella di allargare la sfera di influenza sulle nazioni limitrofe. Una in particolare, orfana della guida nipponica, che per quarant’anni aveva de facto regnato sul paese, era divisa tra due contendenti: la Corea.
Il sud era retto dal regime corrotto di Syngman Rhee, mentre nel nord si stava facendo largo il comunismo di Kim Il Sung. Ovviamente il sud era ben visto dagli americani, mentre il sud riceveva le attenzioni amichevoli dei sovietici e dei già citati cinesi.
Dal 1945 il famoso 38° parallelo stabiliva la linea divisoria tra le due Coree, che dichiararono la loro indipendenza nel 1948, dando il via all’inevitabile crisi politica e militare. Infatti sia Syngman Rhee che Kim Il Sung volevano mettere mano sull’intero paese, non accontentandosi di metà della posta.
Fu il Nord ad agire per primo, invadendo i cugini con circa 80.000 truppe.

L’ONU riconobbe le ragioni del Sud, a esclusione dell’Unione Sovietica, che disertò il consiglio.
Il Nord venne ritenuto “aggressore”, e gli fu intimato il cessate il fuoco e il rispetto dei confini stabiliti dagli accordi post-bellici.
Il generale Mac Arthur, eroe di guerra, venne messo al comando di 180.000 uomini, incaricati di garantire il rientro dei “nordisti” nei loro territori. Mentre le armate occidentali (prevalentemente americane) si mobilitavano, i nordisti avevano già occupato buona parte dell’isola coreana, costringendo i nemici a difendersi dalla sola testa di ponte stabilita nei pressi di Pusan.
La controffensiva vera e propria iniziò nel settembre del ’50, con l’assalto alle linee di approvvigionamento dei nordcoreani, fino a spingere le armate, rimaste isolate, verso il confine con la Cina.

U.S. Soldiers wearing their winter gear during the Korean War; ca. 1951.

Mac Arthur non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Fregandosene della rabbia di Mao, aveva in programma di seguire i nemici fino in Manciuria, anche per spaventare i cinesi, che avevano già ammassato 850.000 soldati al confine, mostrandosi propensi ad aiutare i vicini nordcoreani.
In realtà il generale pensava che, mostrando i muscoli, i cinesi si sarebbero limitati a vigilare, senza prestare soccorso attivo a Kim Il Sung. Purtroppo per lui così non fu: se i russi si limitarono a inviare qualche aiuto logistico, i maoisti intervennero in forze, ricacciando gli occidentali oltre il 38° parallelo.

North Korean Army tank regiment during the Korean War 1950-1953.

L’entrata in guerra della Repubblica Popolare Cinese, seppur senza il soccorso indispensabile dei sovietici, creò guai su guai a Mac Arthur, costringendo gli USA alla più clamorosa ritirata della sua storia militare.
Eppure per gli americani c’era la necessità di mantenere quantomeno il controllo sulla Corea del Sud, per tenere viva una presenza strategico-tattica ed economica nel quadrante asiatico.
Con un lungo tira e molla, fatto di un’iniziale, inarrestabile avanzata dei cinesi, Mao riuscì a riprendere l’intera Corea del Nord e a conquistare perfino Seoul. Dopo mesi di vittorie, i cinesi furono però a corto di approvvigionamenti e dovettero cedere di nuovo la capitale della Sud Corea agli americani, attestandosi di nuovo sul famigerato 38° parallelo.
Furono tre anni di guerra intensissima e feroce, con gli americani più volte costretti sulle difensive, e capaci di opporre una strenue (ma solo a tratti efficace) resistenza contro “l’onda umana” maoista, che contava su una riserva pressoché infinita di truppe di terra.
Una guerra di cui, tuttavia, oggi pochissimi paiono ricordarsi, anche se i confini tra le due Coree sono proprio quelli stabiliti dall’armistizio del ’53.

Korean People’s Army (North Koreans) Advances.

Le cose però potevano andare molto peggio.
Mac Arthur chiese più volte al presidente Truman di poter bombardare le città cinesi, per indurre le armate maoiste a ritirarsi dall’intervento diretto in Corea. Non solo: il generale cercò di fare pressioni sul presidente affinché venisse utilizzata un’atomica su Pechino. Truman fu netto nel suo rifiuto ma, se avesse concesso ciò che voleva Mac Arthur, il mondo avrebbe affrontato un’escalation senza precedenti. Dopo la nuclearizzazione della capitale cinese, nulla sarebbe stato più uguale.

A quel punto Stalin, che pure non provava particolari simpatie per Mao, non avrebbe potuto tenere l’URSS al di fuori del conflitto. Forse non sarebbe intervenuto direttamente. Non avrebbe ordinato ai suoi bombardieri di colpire città e obiettivi americani, ma probabilmente avrebbe fornito ai cinesi i mezzi per compiere una tremenda controffensiva. Non è affatto da escludere che Stalin avrebbe concesso almeno un’atomica alla Cina.
Impossibilitato a sganciare l’ordigno in territorio statunitense, Mao (dando per scontata la sua sopravvivenza alla nuclearizzazione della capitale) avrebbe minacciato di utilizzarla su Giappone o Taiwan, che costituivano gli alleati più solidi del governo americano, nell’intero scacchiere asiatico.
Forse Mao, che era uno stratega sopraffino, avrebbe rinunciato a una facile vendetta, usando invece l’atomica come arma di ricatto. L’obiettivo più utile per i cinesi era quello di sgomberare Giappone e Taiwan dalle armate americane insediate nei due paesi. Quindi è lecito presupporre che il leader comunista avrebbe chiesto a Truman di evacuare le sue divisioni dai paesi in questione.

Messi sotto pressione, i governi filo-americani avrebbero chiesto a Washington di acconsentire alle richieste cinesi.
A quel punto tutto sarebbe potuto accadere. Forse il presidente degli USA (Truman, o chi per lui) avrebbe optato per la linea dura, rifiutando di cedere al ricatto di Mao. In tal caso il leader comunista sarebbe stato “costretto” a usare davvero l’atomica. Uno degli obiettivi più sensati sarebbe stata la base navale di Yokusuka, in Giappone, seguita da quella di Okinawa, e dalla base aerea di Kadena.
Se tale attacco si fosse verificato, con ogni probabilità sarebbe scoppiato un vero e proprio conflitto mondiale, forse di genere nucleare, se l’URSS si fosse decisa a un intervento diretto contro gli americani.

Non male, per una guerra che – ripeto – nessuno sembra più considerare.

Harry Truman and Douglas Macarthur.

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