Roma è una puttana munta da molte, troppe persone.
Stefano Sollima lo sa – o quantomeno sostiene questa teoria – e realizza un film in merito, basato su un romanzo di De Cataldo.
Suburra, appunto.
Suburra è una pellicola sul potere, gestito da gente sopra la morale comune. “Sopra” nel senso che questi biechi individui vivono in un livello estraneo a quello dei normali cittadini, e il loro unico interesse è – appunto – l’acquisizione del potere.
Esso si traduce sia in soldi che in influenza, in rispetto e nella capacità di alterare gli equilibri della città:
Questo sopra-livello è abitato da bande criminali, da ricche famiglie di zingari (il riferimento ai Casamonica non è casuale), ma anche da cardinali e da parlamentari della Repubblica.
Nessuno sfugge al gioco di potere di Suburra.
Sollima è bravissimo a rispettare la storia proposta dal romanzo di De Cataldo, e riesce a intrecciare i tanti protagonisti e comprimari, che all’inizio paiono slegati fra loro, componendo un mosaico corale di grande e tragico respiro. La sceneggiatura è avvolgente: parte frammentata, poi si stringe su un’unica trama, composta da più tasselli che portano al gran finale.
Sullo sfondo di tutto c’è l’ennesimo appalto truccato, questa volta a Ostia, il cui ricavato verrà spartito fra più soggetti: una famiglia della mala locale, comandata da un giovane e impaziente boss, un oscuro figuro noto come il Samurai (Claudio Amendola), residuo di quella che fu la cupa gloria della Banda della Magliana, più cardinali e un deputato (Pierfrancesco Favino, molto convincente).
Sarà proprio quest’ultimo, finito in un affaraccio di prostitute minorenni morte in un coca party, a scatenare una catena a reazione di eventi che porterà all’Apocalisse.
Dove con questo termine, è bene ricordarlo, si intende la fine di un’epoca di Roma, tra le dimissioni del governo in carica (novembre 2011, ultimo esecutivo di cdx con Berlusconi come premier), le imminenti e storiche dimissioni di Papa Ratzinger, e la spirale di violenza che porterà i soggetti dell’appalto di Ostia ad ammazzarsi tra loro.
Suburra è l’ennesimo, ottimo noir del nuovo corso italiano, inaugurato con Romanzo Criminale e proseguito con altri prodotti di qualità (penso soprattutto alla serie TV su Gomorra).
Sollima è un bravo regista e questa volta dispone di un cast decisamente in forma, da un sornione Claudio Amendola a una stralunata (e perfettamente in parte) Greta Scarano.
Scene d’azione poche, ma di grande qualità. La sparatoria al supermarket è girata come Dio comanda, quindi appare ben lontana dagli standard di serial per famiglie come Carabinieri o Distretto di Polizia.
Suburra è la dimostrazione che anche da noi è possibile girare dell’ottimo cinema di genere, anche perché, diciamolo, gli spunti che arrivano dalla cronaca nera non mancano affatto.
C’è poi tutto il lato sociologico e di denuncia che riguarda il film. Denuncia contro il potere che consuma, e contro chi si fa consumare senza nemmeno pensarci troppo.
Ma questo discorso riguarda forse più il romanzo di De Cataldo, che non il film. O, per meglio dire, Sollima ha rispettato il messaggio veicolato dall’autore, sfuggendo alla solita tentazione italiota di fare facile demagogia.
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