Attraversare il Borgo a piedi è un'esperienza stancante. È molto più grande di quanto appare sulla cartina di Nadia. Strade e vie sono più lunghe di quanto sembrano a prima vista. Quasi come se si trattasse di miraggi, di illusioni ottiche.
Ma in fondo tutto quel posto non ha senso. Perché stupirsi?
I pochi seguaci della fazione del Sindaco che non alloggiano all'hotel abitano comunque a non troppi isolati da esso. Più in là il Borgo è completamente abbandonato. Case e palazzi sono involucri vuoti, come gli edifici che appaiono le piazze dei quadri di De Chirico.
Il manto stradale è intervallato da crepe in cui spuntano erbacce e rampicanti che si aggrovigliano a lampioni e muri, anche se non sembrano esserci palesi rischi di tracollo imminente. Nadia gli ha accennato della presunta capacità di autorigenerazione del Borgo. Si pente di non aver approfondito l'argomento, ansioso com'era di conoscere soltanto la strada per tentare la fuga.
A mezzogiorno, dopo ore di cammino, Massimo si trova a fiancheggiare un parco molto esteso. Dall'altro lato c'è un palazzo in stile liberty, tanto maestoso quanto deserto. File e file di finestre spalancate sono puntate sull'esterno, come occhi neri su un volto grigio. Secondo la cartina si tratta dell'accademia, anche se non è chiara la sua natura e il perché della sua esistenza. È tentato per un attimo di esplorarla, poi rinuncia. Il confine settentrionale del Borgo è vicino.
Apparentemente il cammino non sembra aver fine. Se un limite esiste esso è invisibile, considerando il fatto che il paesaggio è uguale a perdita d'occhio: case, palazzi, strade...
Massimo prosegue lungo una via dritta e ampia. Oramai sono ore che non incontra nessuno. Il sole, seppur tiepido, lo sta facendo sudare mentre la desolazione inizia a innervosirlo.
A un certo punto nota qualcosa di diverso, parecchi metri davanti a sé. Ci mette un po' a capire di cosa si tratta. Avanza con circospezione, tendendo la mano sinistra. Alla fine i suoi polpastrelli toccano qualcosa di invisibile posto nel bel mezzo della strada. Ha la consistenza del vetro o del metallo, di qualunque cosa si tratti. Si accorge poi che oltre quello schermo invisibile c'è l'identico paesaggio urbano che ha appena attraversato. In pratica è come se stesse guardando in una sorta di specchio, anche se non tutti i dettagli sono uguali.
Si fa avanti fino a toccare con tutto il corpo quel muro. Tintinna come se fosse di cristallo.
Cerca sulla strada attorno a sé fino a trovare un sanpietrino. Lo scaglia con tutta la forza di cui è capace, ma la pietra rimbalza a mezz'aria e cade a terra, come se avesse colpito una lastra d'acciaio. Forse se riuscisse a trovare un'auto o un'arma da fuoco...
No, si sbaglia: se nessuno è riuscito a sfondare i confini del Borgo perché dovrebbe riuscirci proprio lui? È come uno degli sfortunati protagonisti di The Dome, l'ultimo romanzo di Stephen King che è riuscito a digerire.
«Fa un certo effetto, eh?»
Si volta, sorpreso da quella voce maschile. A qualche metro da lui c'è un uomo in bicicletta. È di mezza età, tarchiato, stempiato, con delle grosse borse sotto gli occhi. Indossa una giacchetta di lino bianca, dei pantaloni scuri e dei mocassini consunti.
«E lei chi è?» Domanda Massimo, perplesso.
«Uno che da sette anni tenta di fare quello che tenti tu adesso. Senza mai riuscirci.»
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