Le Tre Madri e il mito dell’Origine
⇒ Guest post di Germano M.
Le Tre Madri giocano con la potenza affabulatoria del numero, il 3, che è tanto più antico del mito citato da Thomas De Quincey (1785-1859) in Levana and Our Ladies of Sorrow, un poema in prosa incluso, nel 1845, nel suo Suspiria de Profundis.
Ma non è solo il numero, che in ogni caso indica moltitudine e pluralità, più che ovvi riferimenti religiosi, direi quasi moderni, ché i più richiamano all’ovvio cristianesimo.
Le Tre Madri richiamano, soprattutto, il mito delle origini. Di arcaiche comunità di esseri umani e della loro visione totalizzante della vita e dei fenomeni naturali ad essa collegati.
Là, sulle colline, si facevano sacrifici umani, per ingraziarsi gli dei. E non a caso, perché sono loro, le nostre madri, ad averci generato. E loro soltanto.
Si parla di due visioni opposte del cosmo, maschile e femminile. E di come la seconda sia sopravvissuta e sia stata privilegiata.
In un certo senso, se oggi abbiamo Tre Madri e non Tre Padri, lo dobbiamo a una questione di popolarità.
Le Tre Madri di De Quincey non sono altro che un’ulteriore testimonianza di questa antica visione.
Il dolore, la pazzia, i sospiri, la confusione, le lacrime, per De Quincey erano frutto di tre antiche sorelle, tre madri.
“These ladies,” said I softly to myself, on seeing the ministers with whom Levana was conversing, “these are the Sorrows; and they are three in number, as the Graces are three, who dress man’s life with beauty; the Parcoeœ are three, who weave the dark arras of man’s life in their mysterious loom, always with colours sad in part, sometimes angry with tragic crimson and black; the Furies are three, who visit with retribution called from the other side of the grave offences that walk upon this; and once even the Muses were but three, who fit the harp, the trumpet, or the lute, to the great burdens of man’s impassioned creations. These are the Sorrows, all three of whom I know.”
Call of Cthulhu RPG: Our Ladies of Sorrow (Delta Green)
Ed egli stesso ci ricorda che erano tre, proprio come le Muse, le Parche, le Arpie e ogni altro gruppo di creature che, in qualche maniera, era solito influenzare l’esistenza dei mortali.
E la chiave di lettura è proprio in una parola specifica: gruppo.
Il culto delle madri (e dei padri), in quanto genitrici di ogni fenomeno visibile o invisibile, è ben custodito nella memoria storica.
Facciamo un salto indietro nel tempo. Molto indietro.
A Eliopoli, nell’antico Egitto, dove si adorava il sole.
Al sole si era giunti dopo una lunga e selettiva gestazione.
Alcune delle divinità più importanti della religione egiziana, specialmente quelle originate nella regione del Delta, sembrano essere derivate, in un’evoluzione congrua, da insiemi di fenomeni naturali.
Perché ogni mito della storia umana discende dall’immediato che ci circonda, la natura.
E la reazione più immediata dell’essere umano alle prese con l’incomprensibile era catalogarlo e raggrupparlo e fornire a quell’insieme di fenomeni simili una causa comune: un principio, un nume.
A Eliopoli, uno dei miti della creazione faceva riferimento a un unico Dio, un dio delle profondità primordiali e, associati a lui, c’erano “i Padri” e “le Madri”.
Divinità a dimensione umana, generate e non create, proprio come i loro adoratori.
Riguardo “Le Madri”, anzi, pare esserci più di una semplice assonanza di culto, tra varie popolazioni dell’Europa occidentale e meridionale, nelle cui diverse e spontanee manifestazioni religiose, queste “madri” erano adorate e segnavano, coi loro capricci, il destino dei mortali.
Per citarne solo uno, le cosiddette Quadriviae erano le entità, vere e proprie divinità, dei crocicchi, o degli incroci di strade, dove quasi sempre venivano poste piccole statue, triadi, di forma umanoide, alla base delle quali venivano lasciati in offerta, dai viandanti, gli ex-voto, per propiziarsi il viaggio, ma anche piccole grazie quotidiane: un figlio, l’amore di una donna, una cura per l’impotenza…
Particolare impressione desta la comunanza di una figura di origine celtica, Brigid, che pare in qualche modo associabile alla figura delle “madri”.
Oggi nota come Santa Brigida d’Irlanda, essa appare in numerose forme e con diversi nomi in quasi tutte le culture dell’Europa del nord. Le sue diverse identità riflettono, forse inconsciamente, la sua origine, ovvero quella di una Triade. Brigid non era una singola dea, ma tre sorelle, ognuna recante medesimo nome, ma avente volto diverso e diversi poteri:
Brigid, il “Fuoco del Cuore” sovrintendeva alla famiglia, la salute, la fertilità e i bambini
Brigid, il “Fuoco della Fucina” era simile alla greca Atena, patrona delle arti, della giustizia e dell’ordine
Brigid, il “Fuoco dell’Ispirazione” era la patrona della musica e della poesia.
Proprio così, Brigid era una e trina.
La dea Brigid.
Tornando all’Egitto, dopo essere partiti dai fenomeni naturali, averli ordinati in gruppi di divinità, o spiriti, spesso aventi numero simbolico, ma indicante in ogni caso una moltitudine, o la mera pluralità (in questo caso, tre o sei o nove significa soltanto che erano più di uno), il passare del tempo segnava il sorgere di grandi divinità, spesso, per qualche ragione, preferite rispetto alle altre, che venivano lasciate indietro, e dimenticate.
Il dio Ptah, uno dei più importanti dell’antico pantheon egiziano, ad esempio, non era nato solo, ma in qualche modo era riuscito a emergere dal suo gruppo d’origine, e solo era rimasto.
Di Osiride si dice che avesse avuto, guarda caso, “tre madri”, ossia che fosse stato generato da una vera e propria comune di dei, un gruppo. Una pluralità genitoriale affine, ancora una volta, alle religioni del nord: Heimdall, il guardiano del ponte dell’arcobaleno, che introduce ad Asgard, la dimora degli dei, di madri ne aveva avute ben nove.
Madri o padri. Questa differenza che è tipica degli abitanti di Eliopoli è alla base di una vera e propria scissione filosofica, che corrisponde a due modi differenti di intendere il mondo. Teorie divergenti che concepivano la vita e i suoi fenomeni naturali come originati dall’uomo o dalla donna.
Facile intendere quale peso potevano avere, all’epoca, queste convinzioni.
Il culto dell’origine femminile era più diffuso nelle comunità più grandi, che avevano avuto più scambi culturali, dove gli uomini erano quasi sempre figli di una qualche grande antenata e un dio il figlio di un’antica dea.
Arroccate dietro un’ottica maschile, comunità rurali, più isolate, dove alle donne non era garantita alcuna protezione, né tantomeno venerazione.
La madri sono giunte fino a noi, come principio creatore. E la teoria è rimasta immutata. L’atto della creazione è totalizzante e, nel XIX secolo, momento in cui De Quincey scrisse i suoi strani componimenti, la positività delle Madri viene ridiscussa.
Il XIX secolo è un’epoca per certi versi più sincera, nella teoria che in esso serpeggiava, ovvero che la Ragione non potesse spiegare proprio tutto. Se l’omicidio era considerato un’arte sottile e sublime (On Murder considered as one of the fine Arts, 1827, 1837 – T. De Quincey), è anche vero che si viaggiava nei sogni, attraverso terre punteggiate da cipressi e rocce scabre, disseminate da croci; si tentava di spiegare il male del mondo, lo si affidava, scomoda eredità (ché non dimentichiamo l’antica convinzione, greca, forse anche più antica, che voleva le colpe dei padri macchiare i figli, in modo ineluttabile; il male era inteso, quindi, come vero e proprio patrimonio genetico), a entità che simboleggiassero un senso di atavica rassegnazione. Un ordine paradossale in un universo che, negando il solo e unico lume rassicurante della razionalità, ne ricalibrava il giusto ritmo.
E questo ordine era sulla base di tre, un piccolo gruppo di divinità che, come sempre, controllavano un insieme di fenomeni naturali.
Le Tre Madri, appunto.
(fonte: Egyptian Myths and Legends, a cura di Donald Mackenzie)
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