Umberto GALIMBERTI //// e il SIMPOSIO di PLATONE

Umberto Galimberti visto Salvo Scibilia incontro a Milano labrouge

LabRouge “ruba” dal blog di Salvo Scibilia (Scénario) un testo molto interessante realizzato dopo un incontro del filosofo Umberto Galimberti al Teatro Parenti di Milano …

Materia grigia | Il Simposio di Platone.

“Da vecchia data, appassionato e disarmato lettore di Galimberti, una dozzina d’anni fa avevo inserito in un rustico ‘power point’ per i miei studenti, una slide che diceva “Eros: desiderio di un’antica unità di cui ogni amplesso è memoria, tentativo e sconfitta” (Galimberti’92). A dire il vero quest’affermazione così densa e paradigmatica non l’avevo capita fino in fondo ma animalescamente ne avevo ravvisato il fascino, la portata e le profonde implicazioni. E, da magliaro della filosofia, mi sono permesso di azzardare spiegazioni, connessioni e libere suggestioni.

L’avere accolto la galimbertiana definizione di eros, più con la passione che con la ragione, alla luce di quello che ho appreso ieri sera, mi fa sentire piacevolmente in linea con la lectio del professore. La premessa lunga, quanto fondamentale di Galimberti, riguardante il rapporto tra razionalità e follia, è volta a sdoganare la follia: «L’amore appartiene all’enigma, e l’enigma alla follia». Parlando delle cose dell’amore dobbiamo assumere, dunque, che la follia è costitutiva e non incidentale.

La sensibilità contemporanea tende ad espungerla, a rimuoverla e a ghettizzarla in un ambito patologico o nelle nicchie paradossali della retorica: amore, mi fai impazzire. Per i greci, invece, ci dice Galimberti con una sferzata di freschezza, la follia era il terreno di un antica condivisione tra gli uomini e gli dei. La follia è la dimensione nella quale il principio di identità collassa per accogliere identità plurime, spazialità opposte e dislocazioni nello spazio spiazzanti e non congruenti.

Socrate, per rimanere sul punto, si predispone a discutere delle cose dell’amore in casa di Agatone, a partire dalla propria atopia, che traduciamo con spiazzamento, assenza di un presidio, di una rigida (e razionale) presa di posizione. All’antropologo Carlos Castaneda (A scuola dallo stregone, Rizzoli) che va a trovarlo, lo sciamano messicano Don Juan dice: trovati un posto,  scoprirlo da solo saggiando il terreno, e quando lo avrai “sentito” occupalo, perché è solo a partire dal “tuo” posto che potrai intendere i miei insegnamenti. Ma questo è un altro genere di atopia.

Chiarificare per esteso la definizione di Eros di Galimberti, significa ripercorrere con puntualità letterale l’intera lectio di ieri sera, 6 febbraio, al teatro Franco Parenti di Milano. E’stato impressionante vedere il teatro riempirsi di un pubblico bello, intelligente, sobrio e motivato. Dopo che le poltrone sono state occupate, sono entrate in scena diverse dozzine di sedie supplementari e nonostante questo supplemento di ospitalità, diversa gente è rimasta in piedi per un’ora. Meglio così. In sala, il silenzio cosmico era solcato soltanto dal gracchiare tenero delle tante penne che prendevano appunti, improvvisati non premeditati. Era bella la lezione della follia che ognuno di noi cerca di riprendersi attraverso qualcuno dell’altro sesso che un tempo è stato anche il nostro sesso.

È bello questo giaciglio alcolico allestito sotto il tavolo, il domicilio umile e caotico dove Penìa e Pòros si danno l’una all’altro e consentono a Eros di nascere. È affascinante il racconto dell’eccitazione trovata per strada, come la creatività, l’inventio che significa cercare, cioè volontà e progetto, ma anche trovare, cioè casualità e mistero.Sono allegri e stupefacenti questi esseri con quattro braccia e due sessi che rotolavano in terra e che a Giove facevano   talmente invidia che decise di separarli (l’ombelico è la evidence dell’antica unità). “Si fa presto a dire amore. Ma quel che c’è sotto a questa parola lo conosce solo il diavolo.”

 


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