Le vere isole del terrore

Poveglia

C’è Poveglia, una piccola isola nella laguna di Venezia. Isola maledetta per antonomasia, grazie al suo passato poco illustre. Negli anni della Peste Nera venne utilizzata dapprima come “fossa comune” per depositare i cadaveri degli appestati, e in seguito come derelitto lazzaretto. I monatti abbandonavano a Poveglia i moribondi, lasciandoli morire di stenti e di fame, ancor prima che di malattia. L’isola divenne così un orrendo luogo di putrefazione, di liquidi infetti che si mischiavano in pozze maleodoranti. C’era perfino chi portava laggiù i malati al primo stadio, tutto pur di non tenerli in casa, rischiando così il contagio.
Ancora oggi i pescatori e i marinai evitano di frequentare Poveglia. Il fatto che su quest’isola venne costruito un ospedale psichiatrico non ha certo migliorato la fama del luogo.

Sto parlando di isole maledette, come avrete oramai capito.
O meglio: di isole del terrore, titolo che ho scelto per il mio dittico di racconti horror, ambientati proprio su due ameni isolotti, rispettivamente in Toscana e nelle Cicladi. L’ebook sta avendo un gran successo, tanto che ho già iniziato a raccogliere spunti per un eventuale Isole del Terrore 2, magari da scrivere per Halloween 2015.

Tra fantasia e realtà, ci sono fin troppi spunti da cui attingere.
C’è per esempio la versione francese di Poveglia: il piccolo arcipelago delle isole Frioul, di fronte al porto di Marsiglia. Quattro atolli di sassi e rocce, che contano, tra le altre cose, il castello prigione che ospitò nella fantasia di Alexandre Dumas il suo Conte di Montecristo. Se l’isola d’If è la più famosa, proprio per tale illustre aneddoto metanarrativo, gli altri tre isolotti posso godere di una fama derivata dal loro utilizzo a mo’ di lazzaretto, durante l’epidemia di peste del 1720.
Ricche di paesaggi lunari, capaci di attirare turisti nei mesi primaverili ed estivi, le Frioul sono anche spazzate dal mistral, vento freddo e spettrale, in grado di turbare anche i navigatori più esperti.

Isole Frioul

C’è poi la Gaiola, situata lungo la costa di Posillipo.
Isola un tempo usato come presidio dai Romani e in seguito come stazione periferica, è da sempre vista con superstizione dai napoletani. Innanzitutto viene ricordata ancora oggi perché nel XIX secolo ospitava un misterioso eremita noto come lo Stregone. Figura in chiaroscuro, lo Stregone viveva di elemosina, seppure – così si dice – fosse in grado di padroneggiare negromanzia e preveggenza.
Dopo la sua morte sulla Gaiola venne costruita una villa, ancora oggi esistente.
Buona parte dei suoi proprietari hanno subito un destino infausto. A inizio ‘900 lo svizzero Hans Braunfu trovato morto e avvolto in un tappeto. Pochi mesi dopo anche la moglie annegò in mare. La villa passò quindi al tedesco Otto Grunback, che morì d’infarto mentre soggiornava nella villa. Simile fato toccò all’industriale farmaceutico Maurice-Yves Sandoz, che morì suicida in un manicomio nel Canton Ticino. Il nuovo proprietario, un industriale tedesco dell’acciaio, il barone Paul Karl Langheim, fu trascinato al lastrico dagli efebi e dalle feste, dei quali di solito amava circondarsi.
Vi basti sapere che da allora la villa di Gaiola è stata parte del patrimonio degli Agnelli e di Paul Getty. Non gente baciata dalla fortuna sfacciata (soldi a parte).

Come vedete, pur limitandoci alla sola Italia, gli spunti narrativi non mancano. Basta poco per creare nuovi orrori, e so che tutto ciò per voi risulta irresistibile…
Quindi io preparo un nuovo battello. Per la rotta poi si vedrà.

Gaiola

Gaiola

Fonti: Wikipedia Italia, Greenme.it, MetaViaggi.

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