Borgo Pliss (2): Porta d'Oriente

17 settembre

Massimo è affacciato al balcone della sua stanza. Per limitare le spese ha preso alloggio in un modesto alberghetto gestito da una coppia di cinesi. Sotto di lui c'è via Copernico, un via-vai infinito di auto e pedoni. Strada punteggiata da negozi con insegne in decine di idiomi diversi. Odori acri e sgradevoli salgono fin lì, complice una serata più calda del previsto.
Sono due giorni che Massimo si trova al Porta d'Oriente. Poteva fregare il vecchio, regalandosi una settimana di vacanza a Milano senza muovere un dito. Invece ha deciso di essere l'onesto e di tentare per davvero l'assurda ricerca.
Ha già trascorso due notti a vagabondare in lungo e in largo per il quartiere. Ha ideato un metodo per delimitare il territorio con punti di riferimento chiari: le stazioni della metropolitana di Sondrio, Centrale e Loreto, rispettivamente a ovest, sud e a est. A nord il limite è tracciato da via Zuccoli, zona che ancora non ha esplorato.


Milano di notte è un oggetto misterioso, un mondo popolato da derelitti e da creature che vivono al buio: trans, spacciatori, discotecari, tossici. Ha fatto brutti incontri e ha avuto paura, ma con un po' di buon senso non si è cacciato nei guai. Per fortuna ci sono bar aperti fino a tardi, in cui può riposarsi e prendere tempo. Il resto della notte è una lunga camminata, spesso in tondo, agognando l'alba e il letto. Secondo Cantamessa al Borgo si entra solo col buio, quindi è inutile cercarlo di giorno.
Quasi come se quel quartiere fantasma fosse accessibile attraverso una porta dimensionale. Massimo sorride. Sembra la trama di uno dei suoi primi racconti di fantascienza. Non a caso il notaio l'ha contattato in quanto suo casuale lettore.
Solo che lui a quelle cose non ci ha mai creduto, non per davvero. La fantasia è una cosa, la realtà un'altra. La realtà è Nadia che non lo chiama più da quasi un mese. La realtà è l'affitto del suo appartamento a Torino, di cui è in arretrato di due mesi. O l'ispirazione che non arriva, le case editrici che gli offrono uno sputo di soldi per scrivere qualche racconto su anonime antologie.
Rientra mentre il sole tramonta. Ha cenato alla svelta, è quasi ora di uscire. Controlla lo smartphone e la posta sull'iPad. Gli unici messaggi nuovi sono spam o le solite inutili mail da parte di editori che gli chiedono contributi per pubblicare.
Sul letto c'è la tracolla che utilizza per il vagabondare notturno. In una tasca conserva la fotocopia dell'articolo del 1939 che parla di Francesco Pliss. Ha cercato informazioni su Google, trovando qualche riferimento sul misterioso architetto.
Figlio di un ricco conte asburgico, italiano da parte materna, Pliss ha progettato diverse case in Austria e nell'Italia settentrionale, contraddistinguendosi per lo stile bizzarro e i richiami esoterici inseriti nei suoi lavori. Aveva amici nell'alta borghesia ma appariva raramente in pubblico, complice la misteriosa moglie sposata dopo un lungo viaggio in Libia. Tutto qui.
Poco, troppo poco.
Eppure qualcosa in più può esserci.
Massimo si veste. È quasi ora di uscire di nuovo.

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