I giardinetti pubblici che ha trovato a un paio di isolati dall'Hotel Principessa sono desolati e desolanti. Tre panchine, due altalene, uno scivolo, alcune statue dei nani di Biancaneve, coperte però di muschio e di cacche di piccione. L'erbaccia è alta quasi un metro. Massimo la sfiora di nuovo: è consistente, solida. Ne prende uno stelo e lo morde: il sapore è amarognolo, forte.
Il Borgo esiste, non è una proiezione mentale, non è l'invenzione furbetta di uno scrittore di fantascienza. Esiste ma non ha senso. Così come non hanno senso tutte le cose che gli ha raccontato il Sindaco.
Maledice Cantamessa che l'ha spinto fin lì. Sapeva dunque che lui sarebbe riuscito a entrare in quella specie di prigione dimensionale? Ora che è ci è arrivato cosa deve cercare? E, soprattutto, come può scappare?
Il Sindaco sostiene che è impossibile uscire dal Borgo. O meglio, gli ha spiegato che la Signora sa come farlo. Può rispedire qualcuno dei suoi seguaci nel mondo esterno. Lo fa attraverso delle cerimonie chiamate Rituali di Fuga, a base di sangue e sacrifici umani. A quanto pare non è però in grado di liberare se stessa, per colpa del Reticolo alchemico di Pliss, studiato appositamente per contenerla.
Massimo cerca di ragionare. Per il momento è ospite della comunità di quel quartiere. Sono in ottantaquattro, di cui ben sessantasei presenti al Borgo dal lontano 1939. Senza mai essere invecchiati un giorno. Incredibile...
«Mi hai rubato il posto!»
Lo scrittore si volta di scatto. Si trova davanti una ragazza vestita in un abitino primaverile bianco, a dispetto del clima fresco. È molto bella: venticinque anni circa, alta ed esile, lunghi capelli corvini, lineamenti con qualcosa di esotico, forse di indiano. Sorride.
«Sono Nadia. Prima del tuo arrivo ero l'ultima arrivata qui al Borgo. È da due anni che sono qui.» La ragazza si siede a fianco di Massimo. Il fatto che si chiami come la sua ex lo soprende. Sentire quel nome gli fa sempre uno strano effetto.
«Sai cos'è che mi manca di più? Le sigarette. Ce ne sono pochissime, valgono come lingotti d'oro.»
«Senti... Nadia. Davvero non c'è modo di andarsene? Quel tale, il Sindaco, mi ha raccontanto una serie di stronzate. Non riesco a credere che ve ne stiate qui beati, senza cercare di fuggire.»
«Qui non si sta poi male. All'inizio anch'io mi disperavo. Come potevo accettare di lasciare tutta la mia esistenza alle spalle? Ma poi mi sono accorta di non essere mai stata così serena. È difficile da spiegare. Lo capirai col tempo.»
«Io voglio tornare a casa. Senza offesa, eh. Non me ne frega se qui sorvegliate la cugina immortale di Medusa, o quel che è.»
Nadia sorride di nuovo. È deliziosa. «Lecito provarci, altrimenti non ti toglieresti mai il dubbio. Però tieni conto che potrebbe essere pericoloso.»
«Mi farò un'idea della geografia del Borgo. Non passerò più per le Strade di Nessuno, né mi avvicinerò a quel posto, Malebolgia.»
«Se vuoi posso spiegarti qualcosa io. Ero una designer, me la cavo a disegnare. Ti faccio una cartina.»
Massimo annuisce. Per la prima volta da ore si sente sollevato.
«Stai dicendo che mi darai una mano a scappare?»
«Ti aiuterò a provarci nel miglior modo possibile, così ti renderai conto che il Sindaco non mente.»
«Non capisco se devo dirti grazie o no. Comunque, sei sicura di non voler tentare con me?»
«Suppongo tu debba farlo da solo. Poi mi dirai.»
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