Brand New Gallery di Chiara Badinella e Fabrizio Affronti ha da poco aperto i battenti a Milano e si riconferma come l’avant-poste della ricerca e della sperimentazione per uno sguardo attento alle visioni extra moenia (nel senso, al di là della provincia italiese) della contemporaneità. Non si tratta di cercar la novità a tutti i costi, anche perché da Duchamp in poi la novità s’è fatta anacronistica, ma certamente una visita alle mostre in corso, la personale dell’artista N.Y. based Anthony James (classe ‘74) e la collettiva Into the Surface, elergisce cibo per la mente a chi creda fermamente che TUTTO sia potenzialmente arte.
Certamente non abbiamo, qui, una lavatrice esposta come oggetto d’arte nel suo limpido white box, ma la nostra conoscenza si arricchisce delle suggestioni di una realtà artistica da molti forse al momento misconosciuta. Senza con ciò stesso nascondere gl’insegnamenti dei maestri o il comun sentire di quella che forse potremmo identificare in una corrente generazionale se non addirittura epocale.
Consciousness And Portraits Of Sacrifice, la personale di Anthony James, conserva fin nel titolo recondite armonie con le sperimentazioni hirstiane con la morte e la coscienza della morte, tema che ha dato l’impronta di sé a non poche proposte della contemporaneità artistica più recente. Non vorrei citar me stesso, ma lo faccio ugualmente: non è un caso che, in questi tempo dolorosi e vili, la morte (Damien Hirst) valga più del sesso (Jeff Koons) in termini sia monetari che spirituali. Infatti Consciousness And Portraits Of Sacrifice rimanda a livello concettuale a The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living di Hirst per quel comun denominatore rappresentato dalla diade mente (coscienza)/morte. Ma a ben guardare, anche a livello fisico le armonie, neanche troppo recondite in questo caso, non mancano: le due installazioni sito specifiche (Birch: One Meter Cube) che Anthony James ha portato da Brand New Gallery sono reliquarii del vivente che constano di tronchi di betulla del Minnesota custoditi in light box e moltiplicati ad libitum attraverso una specifica collocazione di specchi che ne restituiscono un’immagine virtualmente infinita, rinnovando lo scenario di una foresta di cui lo stesso spettatore perde le coordinate.
Su un altro versante concettuale invece la serie Today is a Good Day, dove l’artista anglo americano, furoreggiando coi citazionismi illustri per mezzo di lucenti lastre di metallo crivellate-ma-anche-formate da colpi di fucile (e qui il pensiero corre a Fontana e Bonalumi), sembra andare al di là dello spazialismo, non certo arrogantemente ma quasi dando una nuova espressione concettuale allo streben di fontaniana memoria ("Tutti hanno pensato che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito. Io buco, passa l'infinito di lì, passa la luce, non c'è bisogno di dipingere").
E, proprio perché non v’è bisogno di dipingere, in galleria abbiamo anche la collettiva d'artisti - naturalmente quality U.S.A. - Into the Surface, che si confrontano con la contaminazione pittura/scultura attraverso materiale grezzo, povero, trovato, riciclato, che pare a volte prelevato direttamente dalla dimensione architettonica e industriale.