Buon compleanno David Lynch //// con un contributo di Ester Grossi

Mr. Lynch di Ester Grossi (Avezzano, 1981) rossella farinotti labrouge

 

Oggi David Lynch compie 67 anni … il maestro del cinema deve essere festeggiato e per farlo Labrouge ha chiesto un contributo a Ester Grossi, finalista del Premio Cairo di quest’anno, dunque nota come pittrice, con il suo stile pop sofisticato in pittura, già riconoscibile per le sue figure, i colori e i suoi paesaggi, ma con un’altra passione e talento di base: quello per il cinema.

Ester si è laureata al Dams di Bologna infatti e, per festeggiare il grande autore che negli ultimi 30 anni ha aggiunto uno strato fondamentale e univoco alla storia del cinema, le ho chiesto di mandarmi la sua tesi, di cui pubblico l’introduzione. Ester si concentra sul paesaggio di Lynch, dettaglio che non può non far pensare al lavoro con il quale la giovane artista dell’Aquila è arrivata finalista al Cairo: un’installazione frutto di un accurato studio sul paesaggio, appunto. Ecco Lynch …

                                                    THE STRAIGHT STORY.

                                         LYNCH E LA PITTURA REGIONALISTA

“A proposito di David Lynch si è parlato e scritto tanto. Il suo cinema è stato più volte definito “visionario”, “perturbante”, per non dire “inquietante”. Insomma, le solite definizioni che si danno quando ci si trova di fronte ad oggetti artistici che, chissà per quale motivo o strana “componente chimica”, non si lasciano comprendere del tutto, procurandoci un pizzico d’insoddisfazione comunque stimolante. In verità, etichette del genere, se riferite all’opera cinematografica di David Lynch, non sono così inopportune. Se il suo sguardo, per l’appunto “visionario”, “perturbante” ed “inquietante”, desta non poco interesse, sorprende come alcuni esegeti e non solo, non lo abbiano riscontrato in uno dei suoi film, certo, strutturalmente tra i più classici, ma in fondo lynchiano. Probabilmente la bravura di un autore sta anche nella capacità di saper “riciclare” i propri materiali artistici, conferendo loro un aspetto solo apparentemente insolito. Quante volte si è parlato (frettolosamente) di Una storia vera come di un’anomalia all’interno della filmografia lynchiana; quante volte, il regista è stato accusato, di aver “venduto” l’anima o vena artistica, a quel demone chiamato Disney (tra i produttori del film). Lo abbia fatto o no, è riuscito a camuffarsi benissimo. È vero, apparentemente questo lungometraggio ha ben poco in comune con i restanti. Non solo, per la prima volta Lynch si trova a dirigere un film del quale non ha scritto la sceneggiatura. La storia del vecchietto che percorre trecentosettantuno miglia con un tagliaerba, per rincontrare dopo anni  suo fratello, è vera, è storia di cronaca (locale) americana. Certamente, ciò che avrà destato più sospetti saranno stati i tempi e i luoghi del film. Dopo le storie di perdizione nei quartieri porno-chic di Los Angeles di Strade perdute, potevamo aspettarci di essere catapultati all’interno dei paesaggi dell’America rurale?  Sarebbe stato impossibile pensarlo. In verità, l’America di Una storia vera non è così inusuale nella storia del cinema. Forse ci appare un tantino anacronistica, perché non corrisponde propriamente alla nostra idea del Nuovo Mondo. Inoltre il percorrerla alla “velocità” del tagliaerba (otto chilometri orari), contribuisce a farcela sembrare ancor più inconsueta.

Lynch, di certo, non può essere considerato un cinéphile, piuttosto un grande appassionato di pittura, alla quale si dedica costantemente e attraverso la quale “dipinge” il suo cinema. In più di un’occasione, ha dichiarato di essersi interessato alla pratica cinematografica, perché desideroso di “regalare movimento” ai mostriciattoli dei suoi quadri. Il ricorso alla settima arte, non lo ha distolto dalla sua passione primaria, che continua ad essere un punto di riferimento per i suoi film. Parlare di citazione, a proposito del regista del Montana, risulta un po’ complicato. Se nei suoi lungometraggi, il rimando al mondo hollywoodiano è piuttosto didascalico, altrettanto non si può dire per i richiami alla storia dell’arte pittorica. La vicinanza allo sguardo di determinati pittori, che siano Hopper o Bacon, non è dettata da un desiderio manieristico di citazione delle loro opere; piuttosto, avviene in modo istintivo e “rilassato”. Con ciò, non s’intende rinvigorire l’idea (così diffusa) di un Lynch “artista romantico ed ispirato” che crea soltanto sotto l’effetto del proprio inconscio, ma di un regista che si serve di un serbatoio artistico riempito, anche indirettamente, durante il suo apprendistato pittorico.

Osservando Una storia vera, balza agli occhi come l’ambientazione e la stessa composizione di alcune immagini, richiamino alla memoria, le opere dei pittori regionalisti dell’America degli anni trenta. Certo, non poteva essere altrimenti; dedicarsi ad una vicenda che ha avuto luogo nell’American landscape rurale, ha voluto dire ripresentare, necessariamente, uno scenario tipico delle tele di autori come Grant Wood, Thomas Hart Benton e John Steuart Curry. In realtà, fare i conti con un paesaggio del genere ha significato farli con la nostalgia. L’ambiente rurale, nel suo essere insieme “naturale” e “culturale”, rappresenta il paesaggio ideale della cultura americana. La storia della pittura paesaggistica, la letteratura e la politica del Nuovo Mondo lo hanno dimostrato; il cinema continua a ricordarcelo. Per comprovare tale tesi, ho deciso di dividere il presente lavoro, in quattro capitoli. Nel primo, ho tentato di riassumere in poche pagine, la storia della pittura americana di paesaggio, mettendo in risalto come sia riuscita a sublimare, indifferentemente, l’ambiente naturale e quello industriale, non tradendo mai la sua fede nel realismo. Anzi, proprio tale attaccamento al vero ha determinato la fuoriuscita dell’astrazione insita nel reale. Nel secondo capitolo, ho posto l’attenzione sul “funzionamento” della citazione pittorica nelle pellicole di Lynch e sull’uso dell’iconografia dell’American Way of life da parte del regista. Il terzo, riguarda la ricorrenza nella cultura americana dell’ideale pastorale, identificato in politica e nell’arte, con il paesaggio rurale, in quanto ambiente intermedio tra la città e la natura selvaggia. L’ambiente agricolo, infatti, ha rappresentato sia agli occhi del presidente Thomas Jefferson che a quelli dei pittori regionalisti, da una parte il luogo adatto per una convivenza pacifica tra la macchina (funzionale al lavoro) e la natura e dall’altra il campo di battaglia tra l’energia meccanica e i ritmi naturali. La coesistenza idilliaca fu ed è tuttora sognata; lo scontro, invece, appartiene alla storia passata e presente. Il quarto è incentrato su Una storia vera. In quest’ultimo capitolo ho cercato di mettere in risalto gli aspetti iconografici e non, che legano la pellicola alla pittura regionalista. Si tratta di elementi, riconducibili all’ideale pastorale, che rendono Una storia vera, un film profondamente nostalgico ed americano.”

“Un pino e una tazza di caffè: la combinazione di questi oggetti mi appare assolutamente drammatica. “David Lynch.

scritto da Ester Grossi (2004/2005)

Tavola 1Tavola 2 Tavola 3

 Tavola 4 Tavola 5Til presse møde på Gammel strand, hvor han udstiller.


Informazioni su 'Rossella Farinotti'