I ragazzi venuti dal Brasile


Molti anni dopo il termine della seconda guerra mondiale il famigerato medico nazista Josef Mengele, rifugiatosi in Brasile, crea 94 cloni di Adolf Hitler, dati in affidamento e allevati da diverse famiglie residenti in paesi del Nord Europa e del Nord America, infatti prima che il dittatore tedesco morisse, Mengele aveva prelevato di persona un suo lembo di pelle e un campione di sangue. Finanziato da una potente organizzazione di camerati nazisti, l'abile medico porta avanti, con successo, esperimenti di clonazione.

I genitori che crescono inconsapevolmente i piccoli cloni di Hitler sono stati scelti in base a specifiche caratteristiche: tra i due coniugi c'è una notevole differenza d'età, il padre è assente e tirannico verso il bambino mentre la madre si comporta in modo affettuoso ed amorevole. Questo rispecchia l'indole degli autentici genitori di Hitler.

Mengele affida ad alcuni sicari il compito di eliminare tutti gli uomini non appena i cloni raggiungono i 14 anni di età entro la primavera del 1977. Il dittatore, nato nel 1889, perse il padre nel 1903. Il sogno del folle dottore è di ricreare esattamente le condizioni in cui venne a trovarsi il giovane Hitler all'inizio del Novecento. Egli si augura che uno dei 94 ragazzi possa diventare il nuovo Führer e guidare la Germania verso il Quarto Reich. Mengele, però, durante l'attuazione del progetto, viene abbandonato dai potenti ma non persuasi fiancheggiatori e rintracciato negli Stati Uniti dal vecchio e tenace cacciatore di nazisti Yakov Lieberman. (fonte: Wiki)

 

Un monumento

 

Il romanzo di Ira Levin è un caposaldo della letteratura, di genere e non. Questo per il tema trattato e per il modo in cui sviluppa una trama delicatissima, considerando anche che I ragazzi venuti dal Brasile è stato scritto nel 1976, quando l'Olocausto non era ancora un pallido ricordo minacciato dai revisionisti, come purtroppo succede oggi.

Del resto Levin, scrittore che da noi ha ricevuto le briciole dell'attenzione che meriterebbe, è lo stesso che ha scritto un altro capolavoro, Rosemary's Baby, di cui molti conosceranno la versione cinematografica e pochi (pochissimi?) il romanzo. Tra l'altro, caso più unico che raro, i due ottimi libri appena citati godono entrambi di trasposizioni di qualità eccelsa, tanto che non è poi questo gran delitto ricordare più i film che non le versioni cartacee a cui si ispirano. O meglio: è un delitto, ma non passabile di esilio permanente su Plutone.

Di Levin non si può certo dire che fu un autore animato dal demone della scrittura: sono otto i romanzi pubblicati dal 1952 al 1997, di cui solo tre hanno riscosso un successo ad alto livello. Oltre ai due già citati il terzo titolo è La fabbrica delle mogli, a sua volta delizioso.

A parere del sottoscritto – opinabilissimo, per carità – il miglior lavoro di Ira resta però I ragazzi venuti dal Brasile. Non a caso questo articolo si occupa proprio del suddetto romanzo.

 

Un eroe e un antieroe


 

Prendiamola alla larga e senza pistolotti ideologici. Ira Levin è riuscito a confezionare una storia solidissima e avvincente mettendo in gioco un eroe inusuale e un antieroe tanto ripugnante quanto carismatico. Yakov Lieberman, il cacciatore di nazisti ricalcato sulla figura del leggendario Simon Wiesenthal, è un ebreo di mezza età, piuttosto sgraziato, un po' burbero, dalla controversa fama e appartenente a un popolo che, piaccia o meno, è più odiato che amato.

Joseph Mengele, l'angelo della morte di Auschwitz, è un geniale chirurgo tedesco, votato anima e corpo al Nazismo, precursore della ricerca genetica e delle sperimentazioni estreme. Bello, dal carattere apparentemente pacato e gentile, Mengele è in realtà il Male incarnato nella sua rappresentazione più affascinante e perversa.

Levin mette dunque sulla scacchiera due personaggi storici, vincendo però la tentazione di ridicolizzare il nazismo, come hanno fatto invece molti altri scrittori, specialmente quelli di origine non ebraica. No, il nazismo fu un movimento ideologico più simile a una religione che a un partito politico. Esso mischiava magia, occultismo e scienza tanto innovatrice quanto disumana. L'abolizione di parole quale “etica”, “morale” e “deontologia” permise agli scienziati nazionalsocialisti di compiere dei balzi enormi in avanti, questo alla spesa di tutta quella sottogente che Hitler, Himmler e soci riteneva alla stregua di insetti, scarafaggi. Inutile negare che proprio ai medici del Terzo Reich si devono gli albori di alcune ricerche che, tutt'ora, sono capisaldi della scienza moderna, non per ultima la lotta al cancro. Suggerisco a tutti di recuperare questo libro: La guerra di Hitler al cancro, di Robert Proctor. Oppure leggetevi qualche articolo che ricorda il piano salutista che i nazisti stavano cercando di imporre in tutta la Germania.

In pratica abbiamo a che fare col più palese e spaventoso patto col diavolo: un incredibile sviluppo scientifico al costo dello sterminio di milioni di cavie. Se il Nazionalsocialismo avesse vinto la guerra, probabilmente ora avremmo colonie su Marte, ma esse sarebbero edificate su pile di ossa umane.

 

Levin riprende queste suggestioni e le adatta al progetto del Mengele romanzesco: ridare vita a Hitler, anzi, a molti Hitler, attraverso la clonazione umana. Un piano degno del più folle e geniale “uomo nero” nazista. Non dimentichiamoci poi un dettaglio per niente secondario: come già detto il libro è del 1976. In quanti ipotizzavano trame thrilleristiche basate sulla clonazione? Oggi è una questione all'ordine del giorno, trenta e passa anni fa, no.

 

Chi caccia il mostro, diventa mostro

 

Lieberman è un eroe del popolo ebreo, ma non solo: e un eroe del genere umano, uscito imbarbarito dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale. Questa sua condizione non è però politica o religiosa. Il cacciatore di nazisti sa che il desiderio di vendetta, che appartiene a lui in prima persona, può generare gli stessi mostri a cui dà la caccia. L'avventura narrata ne I ragazzi venuti dal Brasile lo metterà davanti alla più difficile delle domande: una volta scoperto che al mondo esistono 94 potenziali, piccoli Hitler, che fare di loro? Si tratta di ragazzini di 13 anni, ma che in futuro potrebbero diventare i leader di un mondo di nuovo pronto ad accogliere il Caos. Oppure potrebbero anche non diventare null'altro che anonimi adulti, magari con la passione per la pittura, per il violino e con tendenze misogine, ma null'altro. Nel dubbio, è lecito e preferibile ucciderli preventivamente?

Secondo Lieberman no. Ma questa scelta lo renderà un emarginato in seno agli stessi fratelli ebrei che condividono da sempre la sua lotta, e che preferirebbero 94 infanticidi piuttosto che il rischio di vedere nascere il Quarto Reich.

E Levin, dopo averci fatto parteggiare per l'umanissima e difficile decisione presa da Lieberman, ossia quella di risparmiare i 94 “piccoli Hitler”, ci lascia col più amaro sospetto, ossia che il futuro, probabilmente, lo metterà dalla parte del torto nel peggiore dei modi.

Inquietante. Geniale.

 

Il film

 

Due parole due sulla trasposizione cinematografica. Qui Lieberman cambia misteriosamente nome: da Yakov a Ezra. Tuttavia Laurence Olivier è perfetto nei suoi panni, così come è perfetto Gregory Peck nel ruolo di Mengele, l'angelo della morte. La pellicola rispetta piuttosto fedelmente la storia di Ira Levin, perfino nelle sue suggestioni finali. Il suggerimento è quello di attingere a entrambe le fonti, senza però ambire a tracciare un parallelo critico, bensì godendo di un ottimo libro e di un film realizzato con grande cura e con l'ausilio di eccezionali interpreti.

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