Il “ditone”, ovvero, l’inconsistente pesantezza del nulla
di Alessandro Trabucco
Flash Art ed Exibart uniti in favore del DITO di Cattelan in Piazza Affari a Milano. Un’alleanza inquietante per l’ennesima opera spocchiosa ed opportunista del maurizione nazionale.
Giampaolo Abbondio ha commentato in modo puntuale la notizia su questa sorta di “joint venture” dell’arte contemporanea: “brutta cosa la piaggeria...specie quando colpisce la critica”.
Innanzitutto diciamo le cose come stanno: il ditone di Cattelan è un saluto fascista, mozzato “ad arte” per simulare un gesto dal significato universale. “Il dito di Maurizio Cattelan, in marmo di Carrara, si integra perfettamente nell'architettura della Piazza e degli edifici attorno” recita Giancarlo Politi dall’alto della sua competenza ormai pluridecennale. Se lo dice lui gli dovremmo naturalmente credere ma, personalmente, continuo a preferire questo nobile materiale così com’è stato plasmato dal Buonarroti, dal Bernini o dal Canova ecc... in effetti continuo a preferirlo un po’ retrò e anche un po’ più denso di contenuti. Anche perché loro, i veri geni, lo sapevano scolpire veramente e non avevano bisogno di macchinari tecnologici che traducessero al loro posto un’idea (tra l’altro idiota come quella di Cattelan).
Cervelli superiori per capolavori eccelsi. Invece il simbolo della contemporaneità è, per Politi, il DITO di Cattelan. Probabilmente ha ragione, ma una contemporaneità degradata e mortificata dalla battuta da bar, dal gesto provocatorio fine a se stesso, dalla trovata “tanto per...”, dal falso perbenismo e dallo snobismo di un’espressività che si vorrebbe artistica e che invece si rivela sterile e... inutile.
(Foto Zeno Zotti. - Courtesy, Maurizio Cattelan Archive)
Perché diciamolo, il DITO di Cattelan non reca giovamento all’arte, non è vero che il mondo ci invidia una scemenza del genere e, soprattutto, non funziona se “decontestualizzata” dal luogo in cui è esposta in questi giorni, Piazza Affari a Milano, affari di cui Cattelan, Politi e quelli come loro se ne intendono sicuramente. Ecco perché i due giornali la vogliono mantenere lì, perché sanno che altrimenti non avrebbe più alcun senso compiuto, se non quello di un ingombrante oggetto in più, aggiunto su di un Pianeta ormai già sovraccarico di inutile fuffa.
Proviamo ad immaginare quest’opera tra 500 anni in chissà quale scantinato di qualche museo dimenticato dal mondo. Che effetto farebbe? Lo stesso suscitato dal David di Michelangelo? Con la stessa potenza di mezzo millennio fa? Oppure potrebbe essere visto come il simbolo di una civiltà ormai allo stremo delle sue forze creative ed ammaliata da idee degne di una seduta mattutina sul proprio water? “Defecatio mattutina est superior medicina” recitavano i nostri avi. Liberarsi del superfluo e dello scarto è la miglior cura per star bene e vivere la giornata al meglio.
Ma evidentemente questo è il meglio che l’arte italiana riesce a proporre nel 2010 al mondo intero, un blocco di marmo ben scolpito nella forma, ma anche privo di un minimo di umanità.
Una “mano monca” ecco cos’è il DITO di Cattelan, l’ennesima sterile provocazione di un artista di regime che gode di un consenso universale, consenso di cui si fa beffe in modo sfacciato e anche poco chiaro.
Allora preferisco gli schiaffoni ai passeggeri del treno nel film Amici Miei, almeno una sana risata riescono ancora a farmela fare, schiaffi molto più significativi ed intelligenti...
Amor Vincit Omnia
(Foto Zeno Zotti. - Courtesy, Maurizio Cattelan Archive)
[Less is more (Mies van der Rohe) - la Rubrica di Alessandro Trabucco
n. 07 - “Il “ditone”, ovvero, l’inconsistente pesantezza del nulla" - pubblicato su lobodilattice il 06/10/2010]
IMMAGINI:
Maurizio Cattelan - L.O.V.E. 2010 - Mano, marmo bianco “P” di Carrara. - Basamento, Travertino chiaro Romano - Mano, 470 cm x 220 cm x 72 cm
Basamento, 470 cm x 470 cm x 630 cm - Altezza totale dell'installazione 1100 cm. - Foto Zeno Zotti - Courtesy, Maurizio Cattelan Archive.