Quando di un attore dici “ha fatto cinema, teatro, televisione”, poi devi distribuire le azioni e i pesi. Quasi tutti hanno lavorato nei tre campi, ma ciascun attore ne prediligeva uno, o prevaleva in una delle discipline. Ma non Mariangela Melato, a proprio agio dovunque, con la stessa bravura e la stessa passione. Quando si ricorda un grande personaggio, allora la cosa più semplice è affidarsi alla memoria subitanea, senza tante ricerche. Ma prima dei ruoli e dei successi, prima dei titoli che fanno parte, appunto, della storia dell’attrice e dello spettacolo, vorrei rilevare la milanesità di Mariangela Melato. Nata appunto a Milano e, poco più che adolescente, allieva dell’Accademia di Belle arti di Brera dove studiò pittura mostrando attitudine per i manifesti. L’evoluzione successiva, l’arte applicata, fu quella di… vetrinista alla Rinascente. Ancora qualcosa di milanese. Così com’era milanese Esperia Sperani, l’attrice di cui Mariangela frequentò la scuola di recitazione. Qualche anno fa, mentre studiavo “Comunicazione dell’arte contemporanea” a Brera, l’attrice venne in visita all’Accademia. Mostrò alcuni dei suoi manifesti. Dire che c’era talento è quasi superfluo. La formula si estende: cinema, teatro, televisione e… arte. Dunque grandi titoli e grandi nomi. Teatro: per cominciare Luca Ronconi col suo Orlando furioso, un’opera che stravolse i codici della rappresentazione teatrale, dunque ricerca, avanguardia, concetti che si sposano alla perfezione col talento, vasto e articolato della milanese.
Nel 1971, trentenne, Mariangela venne scelta da Elio Petri, autore di qualità (un Oscar e una Palma d’oro) per il suo La classe operaia va in paradiso. Mariangela era la compagna del protagonista Gian Maria Volonté, il racconto era il sociale e le lotte di quel tempo post-sessantotto. L’attrice era a suo perfetto agio, come sempre. Poi arrivarono Lina Wertmüller e Giancarlo Giannini, dunque un sodalizio meraviglioso, da storia del cinema e del costume. I titoli sono noti: Mimì metallurgico ferito nell’onore e Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto. Fra i maestri che hanno lavorato con lei: Monicelli (Caro Michele), Giuseppe Bertolucci (Segreti segreti), Franco Brusati (Dimenticare Venezia), Sergio Citti (Casotto). E altri. In teatro la Melato ha visitato gli autori più nobili, da O’Neill (Il lutto si addice ad Elettra) a Brecht (Madre coraggio), Pirandello (Vestire gli ignudi), Shakespeare (La bisbetica domata), Euripide (Fedra). Nomi che non comportano spiegazioni e commenti. Significa che la Melato presentava tutti i registri del teatro, e tutti li risolveva alla perfezione. Infine la televisione. Voglio ricordarla in una performance televisiva suggestiva, che evoca un grande film, Rebecca. La Melato interpretava la famosa, inquietante governante innamorata della sua “padrona” morta. Nel film di Hitchcock nella parte c’era Judith Andersson, grande attrice, che divenne un modello di angoscia insuperabile in quel senso. Eppure Mariangela… la superò. Quando ci lascia un personaggio del genere la frase canonica è “una così non ci sarà più”. Nel caso di Mariangela Melato non è una frase scontata. E’ proprio così.