IL NODO DEL SE' E LA SUA "FERMENTAZIONE" INCONSCIA

 

Recensione d'estetica alla mostra Naturalia et mirabilia, coi dipinti di Bodo Gaston Boehm, ed attualmente in corso a Berlino (presso il Robert Koch Institut)

 

Nelle sue tele, in acrilico e rivestimenti di stucco, Bodo Gaston Boehm (Venezia, 1980) mette in mostra la figura d’uno spazio quasi… “planetario”, dove il tempo pare sospeso nel vuoto. La percezione di chi osservi il dipinto seguirà un caratteristico campo lungo “fotografico”, immaginando “d’esplorare” un vasto territorio in superficie. A volte, questo va risalendo (a mo’ di vero e proprio avvallamento), benché, più spesso, avverrà che s’apra una profonda “voragine” (quasi per via d’una forte deflagrazione). Là, ogni insediamento umano è completamente assente: una scelta che contribuisce a “desertificare” il quadro. Il colore s’insinua e s’espande con rapidità, fra i rilievi del campo lungo, riproducendo idealmente la corrente del fiume, che passi sotto un canyon. Nelle intenzioni del pittore, la scelta di “incanalare” le tinte porta con sé la sensazione che la forma figurativa non si veda immediatamente, bensì facendola riemergere da se stessa. Così, sembra che lo spettatore debba ricordarsi di tale immagine, come se la rivelasse alla propria intelligenza, dopo averla rimossa inconsciamente (sin dalla nascita). Freud crede che l’oblio psicanalitico sia un meccanismo di difesa, favorendo la repressione di alcuni “contenuti… minacciosi”. Dunque, Boehm mostra dei paesaggi senza dubbio perturbanti, esattamente perché si propone di svelare l’inconscio d’ogni uomo. La plasticità del suo quadro (usando lo stucco per dare il rilievo figurativo) è del tutto illusoria, confondendo le “acque… cromatiche”, quando si fatica a capirne la “vera” consistenza (quella d’un lago o d’una piccola pozzanghera, del fiume o del mero traboccamento?). Studiando la percezione più estesa, la desolazione della terra parrebbe massimamente preoccupante, caricando la tela d’un simbolismo quasi “ambientalistico”. La stessa “acqua” perde di trasparenza, facendosi “addensare” dal tono pallidamente bianco: quello del latte, la cui “pesantezza” di soluzione chimica, una volta espansa (lungo i rilievi dello spazio “planetario”), idealmente porta i suoi organismi solo primitivi (le amebe, le alghe) ad imputridire. Ci interessa aggiungere che Boehm ha intitolato qualche tela col nome di giardino sfiorito, ricordando che l’uomo contemporaneo non cura molto il territorio “selvaggio”, oltre la mera proprietà privata. Tutte le aree del mondo chiaramente desolate o comunque inabitabili (i deserti, i boschi di montagna, le foreste tropicali, i ghiacciai) oggi rischiano di “appassire”. Per lo psicanalista Jacques Lacan, la Cosa identifica il vuoto che un qualunque oggetto lascia dietro di sé, intendendolo in via appena intellettuale. Quando gli uomini vanno a definire, tramite la significazione concettuale, un dato ente (sia di tipo materiale sia invece spirituale), questo resta “perduto” e svanisce. Per lo psicanalista Lacan, la vera opera d’arte fa in modo che per la prima volta divenga l’oggetto (pittorico, scultoreo, d’installazione, ecc…) a “percepire visivamente” il soggetto umano, entratone in contatto, e non più viceversa (come, ad esempio, succede per la riflessione intellettuale). Lo “sguardo” della Cosa Estetica verso di noi ci rende perturbati. Esso fa emergere l’oggetto da se stesso. Quasi pare che la sua reale esistenza resti… “di troppo”, rispetto al nostro potere concettuale. La “nuda vita” della Cosa Estetica inquieta, perché “macchia… ogni visione intellettuale”. Le tele polimateriche di Boehm portano la figura a “riemergere da se stessa”, esibendo una “terra” la cui componente organica pare continuamente “appassita”. La misteriosa “acqua” concorre subito a macchiarla, mentre il suo tono pallidamente bianco la “spoglia”, e ne trascina dietro di sé la “nuda pelle”. E’ noto che il latte esprime la “secrezione della vitalità”. Una putrefazione che però, nel contempo, aiuta a trasmettere la specie (quando il neonato succhia il seno della madre). Boehm ha spiegato che la sua tecnica mista di pittura determina la percezione d’una realtà perdutamente in trasformazione. Così, è possibile dire che pure il paesaggio “planetario”, in apparenza già smorto, andrà comunque a rivitalizzarsi? Forse, si dà il rischio che questo accada in modo solo drammatico: ad esempio, con l’esplosione nucleare… Di nuovo, lo spettatore deve cogliere la preoccupazione vagamente “ambientalistica”, in seno alla poetica di Boehm, per cui i giardini oltre la proprietà privata sono oggigiorno “sfioriti”. Il filosofo Deleuze dice che tutta la materia, anche se solo microscopica, risulta da se stessa (internamente) suddivisa all’infinito, in “parti” a mano a mano sempre più nascostamente minute. Dobbiamo immaginare una serie di interminabili vortici accentratori, in grado di conglobare completamente in sé il loro restante “universo” attorno. Nelle tele di Boehm, la superficie di tipo “planetario” è di frequente sventrata, ma in modo certamente dinamico. La figura del vortice torna subito in “gioco”. Il vitalismo, che quell’immagine porta sempre con sé, assume una deriva psicanalitica. D’altronde, il pittore ha ammesso che ambiva a perturbare gli osservatori. Chi prova a svelare il proprio inconscio, “gira di continuo… intorno a se stesso”, perché in tale operazione di transfert la “consapevolezza di sé” è in fieri (in cerca d’esistere). Nella mente perturbata, i pensieri nascono da una “centrifuga vitalistica”! Nella sua psicanalisi, Lacan distingue i tre piani del reale, del simbolico e dell’immaginario. Una tesi che si basa sulle prime intuizioni di Freud. Il reale spiega la dimensione immanente dell’Essere. Nell’immaginario, si cela il nostro inconscio (con le sue pulsioni libidinose). L’ordine simbolico gli conferirebbe una struttura, essenzialmente tramite i segni del linguaggio. Lacan pensa di visualizzare i tre piani della psicanalisi, con la figura del Nodo Borromeo. In questo, avviene che tre anelli s’allaccino fra di loro. La particolarità è che, sciogliendone uno, gli altri due si staccheranno subito. Lacan li configura in via strategica. L’anello del simbolico si trova sopra a quello dell’immaginario, ma sotto il restante del reale. A guidare la strutturazione del codice linguistico, è la presenza esistenziale nel mondo. Invece, noi percepiamo la libido solo dentro i segni (significanti). L’anello dell’immaginario si trova sopra a quello del reale: infatti, l’inconscio fonda la soggettività. Nei dipinti di Boehm, il campo lungo “fotografico” si dà dentro l’immanenza della figurazione. Sulla linea d’orizzonte, il nostro sguardo tenderà sempre a “sotterrarsi”, avanzando continuamente (verso la profondità). Consideriamo pure la superficie rotonda d’ogni pianeta. Nei quadri di Boehm, il campo lungo “fotografico” favorisce la percezione “vorticosa” della prospettiva naturale (reale). Con la “desertificazione” della terra, nel suo tono bruno (per la secchezza) e grigio (per la sabbia), si avrà l’instabilità delle dune o delle “gobbe”, facilmente modellate dal vento. Simbolicamente, è qui che l’inconscio dello spettatore si può strutturare. Le dune e le “gobbe” rappresentano un discorso che sempre “svanisca dentro se stesso”, a valle di segni linguistici solo “recisi” (nella secchezza dell’humus) o “labili” (quando la sabbia si farà rialzare, dal vento). I vortici della terra funzionerebbero come nella “pulsione libidinosa” del nostro inconscio. Da un lato ci sarà il “black-hole” della comprensione concettuale, dall’altro lato la “fermentazione” dei desideri più repressi. Se la desertificazione marcasse (contrassegnasse) l’inconscio, quest’ultimo riemergerebbe solo mediante un suo “scorrimento”, nelle “acque… a macchia d’olio (ad anse)” d’ogni canyon. In chiave psicanalitica, qui si dà il vero e proprio immaginario. I pensieri si succederanno uno dietro l’altro, sotto tutte le “coperture” della coscienza soggettiva. Con la fermentazione, accade che i batteri trasformino una sostanza, allorché quelli si debbano procurare l’energia per vivere. Così, nei caseifici si conoscono le occhiature del latte, preparando il formaggio. Nei quadri di Boehm, quelle ci ricorderanno il Nodo Borromeo della psicanalisi, da Lacan. La materia si stringe in se stessa, accentrandosi. La rotondità naturale o reale (della prospettiva planetaria) si fa contrassegnare solo “aridamente” (nelle “gobbe” e nelle dune del pensiero), svelandoci tutto l’immaginario della nostra soggettività (senza più rimuoverlo).

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