Il tempo nero di Botticelli e quello Marrone di Sanremo

MILANO, 19 FEBBRAIO 2012 - Si è chiusa da un paio di settimane l'esposizione alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano di un'opera di Sandro Botticelli, la Natività Mistica, sufficiente perchè all'esposizione venisse dato il nome di mostra, con tanto di titolo ad effetto: "Apocalittico Botticelli". Se è durata dal 14 novembre al 5 febbraio, perchè parlarne ora? Semplice associazione d'idee: vedere Celentano il predicatore a Sanremo fa tornare alla mente i tempi di Savonarola.

E proprio come avrebbero detto a Sanremo: stiamo uniti. Così, Milano non è mai stata tanto unita a Londra, visto che il prestito di Botticelli è servito a ripagare l'invio alla National Gallery del Ritratto di Musico di Leonardo Da Vinci, in occasione di quella che è stata definita la mostra del secolo: "Leonardo da Vinci, pittore alla corte di Milano". Forse perchè in tanti avranno letto il Codice Da Vinci.

Chi conosce Botticelli per la Primavera o per la Nascita di Venere, dovrà dimenticarselo, prima di vedere la Natività mistica, proprio come chi ascoltando Emma Marrone non riesca a credere cosa sia diventato il Sanremo di Nilla Pizzi. Unica opera firmata del fiorentino, vi si legge: "Questa pittura, sulla fine dell'anno 1500, durante i torbidi d'Italia, io, Alessandro, dipinsi nel mezzo del tempo dopo il tempo, secondo l'XI di san Giovanni nel secondo dolore dell'Apocalisse, nella liberazione di tre anni e mezzo del diavolo; poi sarà incatenato nel XII e lo vedremo [precipitato] come nel presente dipinto".

Se Emma Marrone, allora, canta "Non è l'inferno", ammiccando alla crisi - un alloro ruffiano germogliato tra le fiamme italiane -, col dipinto di  Botticelli vediamo una simmetrica negazione di sè stessi: non l'apocalypse, now furbetto con cui si cavalca lucidamente l'onda, ma la purificazione confusa di un'arte che, prima levigata e protesa alla bellezza ideale del Neoplatonismo, pare ora regredire nella senescenza - dell'arte medievale, della maturità di Botticelli - di un predicatore per immagini. Col fantasma di Savonarola che doveva fare molta più impressione, nella Firenze a cavallo tra '400 e '500, del fantasma di Celentano che parla del fantasma della Chiesa al fantasma di Sanremo.

Tutto pare, davvero, un'evocazione sinistra. Il carnevale è alle porte, e vien da pensare al rogo delle vanità con cui il frate domenicano ferrarese, impadronitosi del potere a seguito della cacciata dei Medici, il 7 febbraio del 1497, di martedì grasso, coordinò, come uno Schettino all'incontrario, il naufragio nel fuoco di quanto potesse risultare peccaminoso o inducente allo sviluppo della vanità: specchi, cosmetici, vestiti lussuosi, strumenti musicali, libri "immorali", manoscritti con canzoni profane. E dipinti. Tra cui, a dare legna da ardere al fuoco, contribuirono anche opere dello stesso Botticelli, che l'artista in prima persona provvide ad abbandonare sul rogo. Savonarola non aveva inventato niente: erano roghi comunemente appiccati dopo i sermoni all'aperto di San Bernardino da Siena, nella prima metà del secolo.

I torbidi italiani di Botticelli non erano "come arrivare alla fine del mese", in un'epoca in cui arrivarci vivo era già un miracolo. Lorenzo il Magnifico era morto da poco, la Francia puntava a conquistare Firenze, Cesare Borgia pure. La Chiesa era sul punto di scindersi, da più parti s'invoca un rinnovamento morale e religioso. Ma non era retorica all'acqua di rose: la "famiglia cristiana" contro cui si sarebbe scagliato Lutero, e che già Savonarola fustigava appassionatamente, era la stessa che qualche anno dopo avrebbe propagandato la vendita delle indulgenze col motto: "Appena il soldo in cassa ribalta, l'anima via dal Purgatorio salta". Davvero: Johann Tetzel in Sassonia, leggere la 27esima tesi di Lutero per (non) credere. E tutto, per costruire la fabbrica di San Pietro, casa della cristianità: i milioni d'euro del cachet di Celentano sarebbero stati utili all'uopo, peccato.

Così, nell'interpretazione visiva di Botticelli, le figure si fanno spigolose come sgradevoli acuti o trombe dell'apocalisse; la Madonna e San Giuseppe diventano giganteschi, rinverdendo la prospettiva gerarchica dell'arte sacra medievale con un effetto totem che lascia trasparire un riverente desiderio di adorazione; gli angeli si abbracciano, come presentendo la vicinanza dei diavoli, accartocciando le pose in contorsioni dai riflessi metallici e dal chiaroscuro innaturale. L'artista ha probabilmente voluto invocare il ritorno ai valori basilari di una fede martoriata in un'epoca in cui ad essere nera non era più la "peste", ma la morale. Tempi neri quelli di Botticelli, costretto a mascherare l'arte in un carnevale all'incontrario: effetto Savonarola. E l'effetto Celentano? Abbiamo voglia di travestirci, al massimo, da pantofolai, per seguire davanti alla tv uno show poco chiaroscurato, e molto Marrone. Ci si lamenta dell'arte contemporanea: ma c'è qualcosa di non apocalittico nella contemporaneità?
 

Antonio Maiorino

 

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