La Scultura italiana del XXI secolo

 

Zuppa (e non pappa) al “Pomodoro”

di Giacomo Momo Gallina

 

 

 

Dover di cronaca, è specificare che la recensione di una mostra dovrebbe essere una mera descrizione dell’evento con qualche considerazione finale da parte del giornalista ma, è altresì vero, che come semiologo e curatore, mi sentieri in colpa a non criticare alcuni passaggi e considerazioni, a parer mio, importantissimi.

In questo periodo, come ho già posto l’accento in altri articoli e, come ho sentito dire ieri alla triennale dall’illustre Dott. Davide Rampello (docente universitario e Presidente della Fondazione Triennale), gli artisti, tendono, ultimamente, sempre più a voler stupire e provocare. Questo di solito avviene nelle avanguardie, ossia movimenti politici e culturali che compiono gesti estremi per anticipare una nuova epoca, in cui vigilerà una forma mentis, un nuovo modo di vedere e vivere la vita. Ciò detto, in questo periodo, ho visto e sentito troppe persone nascondersi dietro a un dito parlando di opere plateali per dimostrare quanto il livello dell’arte si sia abbassato (ogni riferimento a fatti o cose è puramente casuale). Così Marco Meneguzzo, curatore della mostra  La scultura italiana del XXI secolo parla addirittura di palingenesi, caos nietzschiano, rilevando in questo contesto i molti artisti presenti alla fondazione Pomodoro che non compiono opere paradossali e spettacolari per testimoniare la fine di un’era artistica. Sempre Meneguzzo si riferisce al caos creativo e salvifico in grado di restituire opere di grande valore e artisti che, avendo superato un periodo epocale, saranno i futuri caposaldo della storia dell’arte italiana. Bene, io non ci sto! Le vere avanguardie di riferimento quali il futurismo, il dadaismo etc.etc. avevano, innanzitutto uno spirito solidale tra i componenti oltre a convinzioni e ideologie talmente radicate nelle carni e nell’anima da farne persino manifesti, oltrepassare gli oceani, sconvolgere la società. Questo oggi non avviene visto l'individualismo imperante in tutte le forme d'arte e comunicazione. Il fenomeno che stiamo vivendo è semplicemente un meccanismo pubblicitario, un’opera di marketing dove, grazie ai mezzi di comunicazione di massa, è facile far parlare di se stessi e del proprio operato, creando così mode e tendenze che faranno gola a collezionisti e a spazi, desiderosi di pubblicità. Purtroppo, questo genera una forma d'arte sterile che imploderà nella sua stessa intenzione.

Arriva la sera del 19 Ottobre e con un collega, mi precipito alla fondazione Pomodoro in via Solari 35 per l’anteprima stampa. Trovo un po’ di confusione tra il book-shop, il guardaroba e chi, in teoria, dovrebbe controllare gli inviti. Senza accorgermene sono già all'interno della fondazione. Lo spazio, che già conosco, mi lascia come al solito perplesso tanto è immenso e bello. Con astuta precisione trovo, immediatamente di fronte a me, il cavallo di Cattelan, opera senza titolo in dimensione naturale come naturale era il povero cavallo, ossia vivo e poi imbalsamato.Superato l’attimo d’imbarazzo etico, sospendo il giudizio per vedere il resto delle opere che appaiono sicuramente dialogare tra loro e per questo mi congratulo con Meneguzzo. Non credo sia facile riempire un tale spazio con ben ottanta opere e far in modo che nessuna di queste sembri isolata dal contesto. Tra un giudizio personale e l’altro, m’imbatto in opere interessanti tra le quali Dopo il Danubio/le scarpe del mercato/guardano gambe di Cluadia Losi per perdere l’entusiasmo studiando la sala interamente dedicata ad Arnaldo Pomodoro. Se come scrive il curatore Marco Meneguzzo, sul catalogo della mostra stessa, “il museo è di per sé autoreferenziale”, in questo caso diventa addirittura fazioso e ridondante. Ritornando alla sala, certamente più democratica, comincio a pormi una domanda: l’amico Giuseppe Spagnulo, Armando Riva, Fabrizio Pozzoli, Gilberto Zorio, Livio Scarpella, Marco Cornini, Carmelo Candiano, Filippo Dobrilla etc., dove sono? chi ha scelto gli artisti e secondo quale filo conduttore?....domanda alla quale, temo, non avrò mai risposta e, forse, lo spero.Continuo lo studio delle opere e m’imbatto in una bella e divertente Donatella di Giovanni Rizzoli che fa il verso al famoso David di Donatello, e a quella che poi scoprirò essere la composizione scultorea  più bella della mostra : Punte di Alex Pinna. Il trittico del maestro milanese che, non solo è davvero ricco di particolari stilistici di notevole prestigio ma è ricco anche di una drammaticità e un’eleganza senza pari. Un’opera perfettamente in linea col clima contemporaneo e idoneo a rappresentare la seconda metà del ‘900 della scultura italiana. Altre opere importanti, ritengo siano state “ 9 churches e 9 columns” di Luca Pozzi e “Grande Volante VIII”  di Fabrizio Corneli.




La prima a dimostrare un eccezionale e geometrico equilibrio precario e materico e la seconda, con la perfetta visone prospettica di luce, disegna ombre nello spazio a raffigurare la civiltà in un uomo volante completa di forma e assente nella sostanza.

 

 


 

Dal mio scritto è ovvia la mia posizione ma invito tutti ad andare a vedere l’esposizione che, nonostante i tanti punti negativi, rappresenta bene il meccanismo e il mercato dell’arte più che la scultura italiana del XXI secolo. In un melting pot di grandi opere artistiche e opere artigianali è, anche possibile fare la caccia al tesoro dei cartellini descrittivi che sono spesso al buio e non vi dico quando riportano “Untitled”…vere scene di panico!Dimenticavo di dire che il catalogo è un po’ costoso ( 45 euro) ma davvero ben fatto e vale la pena averlo nella propria libreria.

 



 

 

LA SCULTURA ITALIANA DEL XXI SECOLO
Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro (Via Andrea Solari 35)
20 ottobre 2010 – 30 gennaio 2011
Orari: mercoledì-domenica ore 11-19; giovedì ore 11-22
Biglietti: 8 Euro intero, 5 Euro ridotto; Ingresso gratuito ogni seconda domenica del mese.
Catalogo: bilingue (italiano e inglese) edizioni Fondazione Arnaldo Pomodoro

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