Gianluca Marziani: vedrei Bergoglio a Palazzo Chigi e Matteo Renzi in Vaticano.
Gianluca Marziani (Milano, 1970) è un critico/curatore d’arte contemporanea.
Agisce da una base italiana con vocazione internazionale e network eterogeneo.
Giornalista professionista dal 1996 con collaborazioni in Italia e all’estero.
Alla dimensione teorica unisce una competenza applicativa sulle strategie di marketing e comunicazione, in modo particolare sui processi dialettici tra brand e prodotto culturale.
L'abbiamo incontrato e con lui abbiamo fatto interessanti riflessioni su come sta cambiando il linguaggio dell'arte contemporanea in Italia.
Noi Italiani abbiamo più difetti che pregi storici, dal punto di vista della ricerca dei linguaggi artistici, abbiamo molti limiti che partono da lontano, forse dal "principe" Machiavelli; siamo gli inventori del brevetto del "Fascismo" (a dirla tutta, un riflesso della Controriforma, anche quella è roba nostra e un forte freno a mano rispetto quello che avevamo determinato con l'umanesimo Rinascimentale); siamo anche coloro che premiano elettoralmente con entusiasmo forme varie di regimi democratici politici (oggi li chiamiamo "bipartisan"); dove voglio arrivare con te con questo ragionamento tra forma etica e estetica politica?
Non so ma volevo una tua riflessione sull'asse comunicativo estetico di questa estate Renzi-Bergoglio, che da qualche tempo sembra avere monopolizzato i nostri mass-media, in uno scenario etico ed estetico di massa come quello che subiamo nel quotidiano, su che parametri d'arte contemporanea possiamo ragionare?
Sono d’accordo sul fatto che l’Italia odierna enfatizzi problematiche di lungo corso, rese patologiche da un’emorragia che per anni abbiamo sanato con suture sovrapposte, fino al punto in cui la pelle risultava ormai indebolita da tante, troppe cuciture che hanno curato la ferita ma non la causa endemica.
Per parlare del nostro Paese servono ormai metafore ad alto valore filosofico, l’eccesso di saturazione realistica ha tolto il potere riflessivo e taumaturgico che nel Dopoguerra era così necessario (la rinascita da una Guerra aveva bisogno di enfasi neorealista per ridefinire i codici del sogno e della crescita espansiva).
Oggi abbiamo troppi strumenti visivi per limitarci al messaggio realistico: vi basti l’esempio di “Sacro GRA”, bel documentario che racconta Roma attraverso metafore umane e animali (vedi il punteruolo rosso che ha distrutto migliaia di palme della Capitale), sfidando il realismo con lo strumento della metafora cruda ma visivamente complessa.
L’arte visiva ha bisogno di un assetto simile per rendere evidente la parte tumorale nonché la sua cura sperimentale: porto come esempio l’arte fotografica di Matteo Basilé, in assetto continuativo con la nostra più alta tradizione iconografica, spostata su un modello contaminativo e aperto, su formule del dolore laico, su un’enfasi sacrale che parla di “alterità” e “diversità” meglio di qualsiasi documentario su profughi, sbarchi clandestini e cronaca nera.
Vorrei che la cultura estetica italiana ragionasse sui codici alti della nostra ricca memoria, facendo di questo un patrimonio biologico da usare per nuove costruzioni visuali, dove nessuno resti escluso, dove potenza e impatto rialzino le soglie retiniche dello sguardo collettivo.
Mi sembra quello Italiano un sistema dal quale non si esce nel nome della tradizione Accademica, paradossalmente noi Italiani sembriamo retorici nel fare perseverare la tradizione, anche quella recente, quella figlia della rivoluzione industriale, le tradizioni sono fatte per essere superate dal tempo e non conservate.
I linguaggi dell'arte hanno il dovere di discutere e superare convenzioni e tradizioni e di adattarsi e guidare le mutazioni.
Il linguaggio dell'arte deve essere critico e la sua critica è un tesoro costruttivo, serve a superare convenzioni e Accademie, serve a recuperare una condizione naturale in un territorio geneticamente modificato.
Il linguaggio dell'arte, quando diventa specializzato, alimenta il bulimico magna magna incondizionato, patinato e mascherato da esperienza culturale di sistema.
Vernissage con degustazioni e prodotti tipici ne sono l'essenza plastica.
L'arte contemporanea in aree protette non funziona, come si può fare ragionamenti sul senso del lavoro di un artista con una pizzetta alle acciughe tra le mani?
Come si possono fare riflessioni intelligenti con un bicchiere di vino in una mano e una frittata di piselli nell'altra?
Non dimentichiamo che vino e tarallucci sono prodotti tipici di un’enogastronomia che ci vede incontrastati leader mondiali: ripartiamo, insomma, dal valore culturale del cibo, pensando che lo spuntino da vernissage potrebbe definire un altro aspetto della nostra cultura, da integrare ai metodi espositivi dell’opera esposta.
Sto scherzando ma non troppo, in realtà voglio dirti che tutto è sempre un problema di percezione e partecipazione: la patologia dell’uomo distratto segue la parabola involutiva della televisione commerciale, principale imputato sul banco della superficialità come valore fondativo.
Le persone bevono e non guardano per il semplice fatto che vivono una mostra d’arte come un qualsiasi appuntamento da palinsesto televisivo, non riuscendo a concentrarsi per disabitudine e pigrizia indotta.
Fateci caso ma il cibo è una delle poche funzioni su cui cresce la soglia d’attenzione dell’utente medio.
Questo perché si comunica un cibo o un vino non solo come necessità organica ma come oggetto estetico, come un testo che si trasforma in un contesto.
Il cibo trattiene valori esterni ai suoi ingredienti, racconta storie, crea empatia.
L’arte non riesce più a raccontare storie e creare empatia: se si riparte da qui le cose potranno ritrovare una loro centralità.
Voglio tornare su Renzi e su una sua dichiarazione che mira a fare da apripista al prossimo decreto "Sblocca Italia", mi farebbe piacere conoscere il tuo punto di vista a riguardo:
"Il colmo è che si bloccano i lavori perché si trovano dei reperti archeologici. Questo è un paradosso. In tutto il mondo le risultanze degli scavi archeologici permettono ai passeggeri delle metropolitane di godere di cose che altrimenti non avrebbero mai potuto vedere. Torino, Roma con l'operazione della linea C e Palermo sono realtà che accederanno al finanziamento delle linee metropolitane".
Sono una persona che vive nel presente per proiettare la “memoria utile” nel processo evolutivo.
Ho scritto “utile” non certo a caso: perché bisogna uscire dall’equazione che antico sia sinonimo di bello, spesso molti reperti non sono altro che robaccia sommersa dal tempo.
Credo sia giusto tutelare il nostro patrimonio ma credo sia ancora più giusto mettere a reddito l’intero assetto patrimoniale del Paese, agevolando le procedure di sviluppo con metodi rapidi e funzionali.
Le Sovrintendenze hanno un senso ma di certo non con le regole odierne: servono passaggi più veloci per stabilire le valenze qualitative; serve un processo sacrificale che conservi il buono a discapito del vecchio mediocre; servono commissioni senza passaggi intermedi che agevolino le finalità progettuali; servono progetti che siano sensati a monte, senza che ci si ritrovi davanti ad opere inutili, nate già vecchie.
L’esempio romano di Piazza Risorgimento è perfetto: una ristrutturazione che era obsoleta prima della sua nascita, un’aberrazione architettonica che considera il passato un riferimento categorico, senza creare confronto con materiali, forme e dinamiche del presente.
Questo modello non è rispetto del passato ma vera maleducazione nei confronti del presente.
E poi, come dicevi nella domanda, il problema del sottosuolo potrebbe essere risolto con percorsi protetti da plexiglas e vetro, dove i cantieri di restauro e le parti terminate diventerebbero un favoloso story-telling a disposizione degli utenti che si spostano con mezzi metropolitani.
L’educazione dello sguardo rinasce solo con una fruizione espansa, dove la città viene pensata come museo diffuso, dove tutto, anche le insegne delle gelaterie, devono rispondere ad principio estetico ben preciso. In questo modo migliora la consapevolezza dello sguardo e le persone, senza saperlo, saranno più pronte per capire l’arte nei musei e nelle gallerie d’arte.
Chiudiamo come abbiamo iniziato, Renzi e Bergoglio sono stati molto abili a intercettare come l'estetica del "Selfie" stia mutando la comunicazione estetica globale, siamo davanti a una rivoluzione dei linguaggi dell'arte?
Qual'è la direzione dell'artista contemporaneo e della sua ricerca linguistica, davanti all'impossibilità di competere con smartphone e applicazioni varie?
Vuoi farmi dire qualcosa ad ogni costo su Renzi e Bergoglio… , direi che Renzi porta camicie bianche di buonissima fattura, giuste per il ruolo che ricopre, così come Bergoglio porta il bianco con ottima cognizione di ruolo; sono quasi intercambiabili, vedrei benissimo Bergoglio a Palazzo Chigi e Matteo Renzi in Vaticano, forse sarebbe una perfetta operazione artistica ma anche un modo adeguato per risolvere le ambiguità del nostro Paese.
Laicità dentro la Chiesa, moralità dentro lo Stato, pensa cosa potrebbe venir fuori da una roba del genere.