Quello che la critica e gli "addetti ai lavori" post anni settanta hanno elevato come riferimento artistico contemporaneo, è la super ricchezza, icone di mercato e al suo servizio sono state educative e didattiche, nella pratica glorie passeggere dal mercato passeggero e transitorio, se non volatilizzato in dieci anni, cattivi investimenti determinati da cattivi consiglieri e intermediari avidi di denaro e che ovviamente sono destinati a perderlo.
Il vero problema da porsi in questo scorcio di secolo, sarebbe creare facendo interagire situazioni e linguaggi, nuove strutture sistemiche sociali, che con il loro altro simbolismo, sappiano durare e adattarsi a questo nuovo mondo instabile ma interconnesso.
Solo attraverso il sociale, il simbolico, l'affettivo e il comunitario, si può ripristinare una identità d'artista durevole.
Siamo sommersi da sputi d'artista, che non sono cattedrali, anche se le chiamo Duomo, ma sono tende, accampamenti momentanei.
Noi amiamo tanto parlare di conservazione di lavori e ricerca, ma come lo si può fare senza ambiente sociale e culturale?
La democrazia e la politica non hanno nulla a che vedere con il benessere economico e l'arte non ha nulla a che vedere con il benessere economico, lo si voglia o meno, è così.
La ricerca artistica e i suoi linguaggi, hanno una unica strada percorribile, l'inizio del secolo scorso lo ha insegnato,la politica della libertà di ricerca.
In questo gli stati nazionali dovrebbero e potrebbero tutelare, ancora oggi, da lobby e multinazionali, con troppa leggerezza si parla e si discute nel mondo dell'arte (e non solo) di fine di Stati e Nazioni, questo vuole dire fine del linguaggio, delle differenza e delle identità, fine dell'educazione al gusto, della politica culturale, dell'ordine commerciale, in questi settori la politica nazionale, va costretta a manovrare, nel suo stesso interesse.
La dittatura eletta, in ogni forma, deve essere impedita proprio in ambito nazionale e comunitario.
Senza la fiducia e l'affettività, non c'è sistema sociale, giuridico ed economico che tenga.
Questo mi porta a ritenere, che la nuova e interconnessa società civile, libera e volontaria, è il luogo unico dell'agire e dell'attivismo nell'interesse del comune.
Il progetto comune di libera aggregazione d'intenti in un movimento generico di rotta, non può creare una forma e un limite preciso e ideologico di sistema, ma solo, per natura, caos creativo.
Per questo prendo le distanze da quei programmi governativi che finanziano associazioni e volontari, sono impiegati che perdono sul campo, la loro indipendenza e la forza simbolica di criticare nel pieno rispetto della democrazia della dialettica, le tendenze autoritarie e ideologiche di qualsiasi epoca.
Cercare e sperimentare, scoprire e eliminare sono doveri civici, da non trascurare, il prezzo da pagare è infatti la libertà, anche quella dell'artista.
Il nuovo autoritarismo è la società degli spettatori, non solo quelli televisivi, ma anche gli internauti eterodiretti da riflessi mediatici e troll mercenari, osservano su facebook un mondo di cui non fanno più parte, a cui non hanno parte e se continuano solo ad osservare invece di determinare, potranno non avere più neanche una parte.
L'uomo da un senso alla sua storia collettiva, estendendo o distruggendo possibilità di vita, siamo la prima generazione di artisti a vivere questo cambiamento di sistema, con il dovere di muoverci consapevolmente, in un contesto senza un progetto e di fatto anarchico, nella direzione di adeguare le istituzioni alle tendenze della natura e fare del cosmopolitismo dei linguaggi artistici, una forma di sistema dialettico reale.