"La nostra ‘protesta’, la nostra attività artistica e politica, scaturisce dal desiderio di proporre un’alternativa reale e concreta a questo sistema fallimentare. Sperimentiamo modi nuovi di gestire uno spazio pubblico per cercare insieme forme che consentano di reagire alla crisi economica senza tagliare e chiudere ma aprendo e moltiplicando.
In mancanza totale di sostegno e garanzie sociali, nella totale precarietà generata dalla riforma Fornero e aggravata in prospettiva dal Jobs Act, il Teatro Valle Occupato – pur nell’attuale assenza di finanziamento pubblico – sperimenta delle soluzioni concrete sostenendo economicamente gli artisti: pagando il lavoro, il diritto all’autore, il vitto, l’alloggio, coprendo il 50% delle spese di viaggio, costituendo una cassa mutualistica, occupandosi direttamente della comunicazione e della tecnica. Un modello economico discusso e costruito insieme agli artisti basato sulla cooperazione.
Un teatro sostenibile con il teatro".
Questo è il secolo, dove gli interrogativi degli artisti sulla propria identità, su chi sono o ciò che sono, sui limiti della forma sessuale, corporale, sulla filiazione e sulle relazioni. Sono accomunati dalle domande che si pongono e dalle loro molteplici risposte formali alle quali sono interessati. Le domande chiarissime e nel rispetto del linguaggio dell'arte le risposte sono sempre ambigue ed incerte.
La creatività e la professione dove è?
Nel percorso di ricerca che porta a recuperare domande originarie e ancestrali; attraversano le immagini e le evidenze senza farsi ingannare in nome del recupero del sé. La sfida reale dei linguaggi dell'arte contemporanea è mitologica, come si può con l'immagine rivelare il senso reale di un mondo che si rappresenta e mette in scena con l'immagine stessa? I linguaggi dell'arte contemporanea necessitano della testimonianza di un pubblico che non sembra pronto a comprenderli, impossibilitato a svincolarsi dai dettami del mercato. Necessita un intervento completo dell'artista contemporaneo in relazione al proprio linguaggio, per iscritto o integrando la propria ricerca con la lettura altrui, in questa maniera spingono il pubblico all'interazione; questo è performance, la vita e la ricerca di senso dell'artista stesso; l'artista contemporaneo ricerca con la propria esperienza un pubblico che non c'è e che non è interessato alla riflessione critica, i linguaggi dell'arte si espongono al pubblico con la consapevolezza di deluderne le aspettative. I linguaggi dell'arte sono per loro natura non post-ideologici, ma anti-ideologici, esibisce l'evidenza e la sua natura, il suo sistema è la questione, il simposio, l'interfaccia, la riscoperta del dubbio, della curiosità e anche dell'alienazione ma beata e non beota. I linguaggi dell'arte non sono condivisi, snaturati nel loro tentativo di recupero di se stessi e della loro natura, hanno il prezzo della reale solitudine, non sono ottimisti, ma si mantengono e mantengono all'erta. Tengono svegli chi ha voglia di essere sveglio.
Lo si voglia o meno, la protesta incarnata dai movimenti con i propri artisti e i propri linguaggi dell'arte, non trova più una sponda reale nella rappresentanza istituzionale dei partiti della sinistra storica, i quali si affidano ad "addetti ai lavori" generati e creati dall'interesse di mercato. Stiamo vivendo culturalmente un tradimento ideologico, la cultura, l'arte e gli artisti sono passati nel campo dei vincitori, colpa del Berlusconismo? No, noi siamo in una condizione periferica, l'asse Blair - Clinton è stato il primo a dirottare la cultura di sinistra al servizio del mercato globale per raccogliere ampio consenso.
Siamo davanti al trionfo dei mercati che nella politica italiana materializza assessori e Ministri alla cultura che altro non sono che imprenditori di se stessi. Questa è la questione del secolo, come mai i ceti sociali insignificanti non sono più una questione culturale?
Come mai gli artisti che ne sostengono le istanze sono omessi dal sistema e non considerati come operatori culturali e risorsa sociale dal mercato?
Si è creata una così ampia marginalizzazione dell'attivismo artistico, che sembra omessa la controparte culturale dei dettami del mercato anche nelle aree politiche e pubbliche. Quando e come si è materializzato tutto questo?
Lo si voglia o no, negli anni settanta.
A cosa voglio arrivare con questo lungo preambolo?
A un gruppo di attivisti del Teatro Valle Occupato, che entrati con maschera subacquea per portare a termine quella che hanno ribattezzato l’operazione ’vacanza culturale’, hanno occupato simbolicamente l’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale per farci una conferenza stampa sulle iniziative estive del teatro.
"Il Teatro Valle occupato - recita il comunicato - occupa simbolicamente l’Assessorato alla cultura di Roma per denunciare lo stato in cui versano le politiche culturali, la ’vacanza’ dell’assessorato, e per rispondere alle dichiarazioni del Sindaco Marino. Teniamo qui la nostra conferenza stampa per presentare il nostro progetto artistico dell’estate".