LA MARCIA VERSO LA LAICITA' Aspettando Godot di Beckett

Il termine “Teatro dell’Assurdo” fu coniato, nel 1961, da Martin Esslin, intellettuale ungherese naturalizzato britannico (Esslin era scappato dal nazismo ed era approdato alla BBC di Londra).  La lista degli autori facenti parte di questo ipotetico filone (non esiste un manifesto relativo a questo tipo di espressione) è breve o lunga a seconda di valutazioni personali. Padre del fenomeno è considerato Alfred Jarry con il suo “Ubu re”, figli diligenti Sartre, Camus, Joyce, Kafka, Ionesco, il nostro Achille Campanile (il quale, va detto, respinse una tale qualifica del suo operato), Luigi Pirandello. Dunque, l’assurdità di Esslin abbraccia un ampio campo speculativo condotto con volute approssimazioni e con sfoghi espressivi disordinati. Su tutto, il “flusso di coscienza” (scrivo ciò che mi viene in mente, senza alcuna preordinazione, seguendo il sentimento più che la ragione, oppure metto insieme più concetti che dovrebbero essere posti su piani diversi) che consente parecchie variazioni sul tema dell’essere (da qui la presenza anche di esistenzialisti).

 

I presunti autori dell’espressione assurda non sono per nulla omogenei fra loro. Ognuno ha la sua personalità e questo coerentemente con l’individualismo tipico del Novecento, caratterizzato dalla relatività. Senza riferimenti forti, come quello della chiesa, l’intellettuale novecentesco va alla ricerca di una spiegazione del tutto in maniera diretta, senza intermediazioni di sorta, spesso caricandosi malamente sulle spalle la responsabilità delle proprie interpretazioni (ad esempio Sartre) o irridendo con sarcasmo la realtà umana (ad esempio Campanile e Ionesco).

 

Chi invece affonda il suo pensiero nello sconforto è Samuel Beckett (1906-1989), scrittore irlandese, il cui teatro può, probabilmente, essere riassunto nei due atti di “Aspettando Godot”. Che accade in questo dramma? Accade che due personaggi si ritrovano in mezzo a una campagna in attesa dell’arrivo di un certo Signor Godot che neanche conoscono. Mancano volutamente i contorni della situazione. I due discutono animatamente usando frasi fatte, con tono ora alto ora basso, e intanto si agitano per il ritardo di quel signore, che non verrà. A un certo punto compare un ragazzo che conferma: “Oggi non verrà, verrà domani”. Nel secondo atto, relativo al secondo giorno, appaiono altri due personaggi che in qualche modo rappresentano l’ingiustizia sociale (il ricco, padrone del campo dove è stato dato l’appuntamento, vessa il povero, reso suo servo e schiavo: è un richiamo alla bruttezza del mondo creato dall’uomo). Gli ultimi due scompaiono e poco dopo riappare il ragazzo che reciterà la frase precedente: “Il Signor Godot verrà domani”.   

 

Questo “verrà domani” è un’evidente allusione all’attesa salvifica prima operata dalla religione. Beckett proveniva da una famiglia di stretta osservanza protestante, il cui dio è conquista personale, coscienza arricchita di quel tanto di propria convinzione trascendentale che libera l’uomo da dubbi e perplessità.

Questi dubbi e questa perplessità provengono ora, nell’attesa, da un mondo materialista come mai che, di fatto, allontana il significato della trascendenza.  “Dio è morto”, diceva Nietzsche sognando la venuta di superuomo (che lui chiama oltreuomo).

 

Beckett nel suo dramma rileva la scomparsa del mondo astratto, fatto di religione biascicata, accettata da un’impotenza (peraltro coltivata e quindi comoda) a risolvere razionalmente le questioni essenziali. Nella cosa c’è anche molta sincerità, derivata da sentimenti profondi che, senza un alfabeto comprensibile, chiamiamo spirito, ma l’abbandono all’irrazionalità, per cui i dogmi religiosi hanno il sopravvento, appare infine eccessiva agli occhi di un positivista figlio di più rivoluzioni industriali.

Il dramma fu scritto da Beckett verso la fine degli anni Quaranta e rappresentato per la prima volta nel 1952. Ci furono molte discussioni per quella sensazione di resa al nulla, contenuta nei rimandi dell’arrivo di Godot (sottinteso: non arriverà mai, perché è un’invenzione di gente debole, spaurita, indebolita da due guerre mondiali, la seconda devastante: si pensi alle ripercussioni psicologiche in chi l’ha vissuta). Ma il drammaturgo irlandese intende che è tempo ormai di assumere delle responsabilità personali, dirette, nei confronti del mondo.

 

In effetti, i due personaggi principali insistono con le loro considerazioni, che sono vuote ma che ambiscono a un riempimento. Essi si avvicinano alla comprensione di dover fare da soli, che sono orfani di dio in quanto quest’ultimo è morto veramente, oppure, e addirittura, non è mai esistito. La posizione di Beckett è agnostica nel senso che il drammaturgo nega la questione divina, trascinando nella negazione anche la possibilità umana di poter fare a meno di dio. È notevole, nei toni, il rimbalzo dialettico fra i due personaggi principali, alla ricerca di una consolazione (e di una soluzione) che l’uno chiede all’altro, a dimostrazione che il discorso uomo non può prescindere dal concetto di umanità.

 

Beckett ha il solo torto di mettere in scena una tesi già conclusa nella sua mente, fondamentalmente negativa, ma la stessa, nel suo dipanarsi, induce l’autore a una dinamicità interiore che porta a più manifestazioni concettuali e a osservazioni articolate, sentimentalmente molto impegnative. Per tutto questo, il nichilismo non ha la meglio, come era nella famosa tesi (per la quale l’autore prova qualche compiacimento intellettuale semi-masochista), bensì si fa strada una sorta di speranza nelle risorse umane che potrebbe far superare la scoperta della mancanza di un padre protettore. I figli, che hanno preso conoscenza della situazione, sono obbligati a non sognare più, a non demandare più a fantasmi le sorti della loro vita.

 

Beckett sconfigge la religione, si sofferma sul momento del distacco, rievoca il fantasma principale e lo tratta esattamente come un’illusione della quale non è più possibile fidarsi. Il passato è concluso. Si apre una nuova era, l’era della libertà, della laicità. Il drammaturgo fa comprendere che questa nuova era sarà la più difficile, che richiederà un supplemento di razionalità e di fiducia nella stessa, non più soltanto nel campo utilitaristico materiale, ma anche in quello spirituale, nel rispetto delle esigenze totali dell’animo umano.  Presunzione? No, presa di coscienza completa. I personaggi di Beckett, che hanno questa coscienza in divenire, dimostrano di poter resistere anche alle delusioni.

 

 

Dario Lodi

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