Domenica 18 ottobre è stata presentata alla Triennale di Milano, uno dei templi di arte e design della città, dal critico e docente dell’Accademia di Brera Marco Meneguzzo, la prima biografia ufficiale su Mario Schifano (1934-1998) firmata da Luca Ronchi, autore anche del celebre documentario sull’artista pop romano dal titolo Mario Schifano tutto, presentato alla 58esima Mostra del cinema di Venezia.
Per gli amanti dell’arte, e di un certo tipo di cultura sofisticata e underground, Schifano è un nome fondamentale. Grande personalità, impegnativa per vissuto e comportamenti, “da racconto” per molti episodi, tra gli alti e bassi, le esagerazioni, le amicizie e gli amori con personaggi di rilievo e internazionali. Dalla scrittrice Nancy Ruspoli, principessa, sua compagna per anni, che aveva sfidato i codici tradizionali della famiglia unendosi con l’artista maledetto, ma terribilmente affascinante, ad Adfera Franchetti, anche lei di ottima famiglia, con la quale finì in prigione per uso di hashish; poi Anna Carini, la più amata negli anni ’60; e ancora Marianne Faithfull “rubata” a Keith Richards dei Rolling Stones; poi le affascinanti Benedetta Barzini e la diciottenne Isabella Rossellini, fino a Monica De Bei, diventata poi sua moglie. Dunque una vita da star, non solo dal punto di vista artistico. Schifano è stato uno dei grandi maestri dell’arte italiana, uno dei non molti riconosciuti oltre confine. Warhol disse che, se avesse potuto scegliere con chi scambiare la sua vita, sarebbe ri-nato Mario Schifano. L’americano e l’italiano, artisticamente e umanamente, qualcosa si sono scambiati. Negli anni ’60 infatti a Mario non bastava più solo il mezzo pittorico, immediato, veloce e complesso, c’erano altri orizzonti e altre ricerche. Nelle quali si impegnò profondendo la solita passione “esagerata”. Puntò a un’evoluzione comunicazione visiva, perseguendo un’estetica multidisciplinare, utilizzando macchine da presa, macchine fotografiche, e il medium televisivo. Come ha asserito Marco Meneguzzo durante la presentazione, “Schifano lavorava sulle immagini. Intorno a lui c’erano sempre immagini”. E’ noto infatti che nella casa del maestro ci fossero sempre televisori accesi, silenziosi, ma con un costante scorrere di immagini, di qualunque tipo.
La ricerca si evolve dunque, per Schifano, in cinema d’artista, di cui diventa infatti uno degli autori più noti, ritagliandosi un ruolo importante nel cinema underground degli anni ’60 e ’70. Un titolo tra tutti: Umano non umano (1969), che lo consacra in quell’ambito. Come Warhol a New York, Schifano a Roma, e in Italia, realizza film indipendenti dall’immediata riconoscibilità per lo stile grezzo, l’inquadratura sempre volutamente storta, quasi fastidiosa, la non-narrazione, il montaggio spezzato, la varietà dei temi trattati, prettamente sociali e politici, l’uso di pellicole scadute (infatti molti lavori non sono più reperibili) …
Soltanto in un’occasione importante Mario Schifano decide di accompagnare una sceneggiatura a un’idea di film: nel 1962 un grande produttore come Carlo Ponti, lo finanzia per andare negli Stati Uniti a girare un lungometraggio. La sceneggiatura era stata abbozzata dall’artista e da Tonino Guerra. Dunque Schifano, Guerra e Ponti. Le premesse erano buone. Mario parte alla volta degli Usa con la compagna di allora, Nancy Ruspali. Visitano fabbriche e luoghi dismessi, da New York all’Arizona, assorbono paesaggi e persone nuove, e tornano a casa, senza aver mai realizzato il film. Tipica azione alla Schifano, refrattario a qualsiasi collaborazione che venisse da altri, anche se di qualità.
Negli anni successivi realizza dei corti d’artista come Round trip (1964) e Reflex, la storia di un fotografo di moda, entrambi con materiale girato negli Usa, paese che l’artista ha assunto nell’insieme delle sue culture. In Italia firma Carol + Bill, con attori come William Berger sua moglie Carol, Renato Salvatori e Annie Giradot. O ancora cortometraggi monografici come Ferreri, Jean-Luc ciné ; omaggi a Marco Ferreri e Jean Luc Godard; Vietnam (1967) con Marco Ferreri ed Ettore Rosboch. E poi la Trilogia che lo consacra come gran riferimento del cinema underground – infatti prende spunto da Warhol mettendo in scena anche Gerard Maranga, che lavorava col maestro della pop americana – . I titoli sono: Satellite (1968), il già citato Umano non umano (1969) e Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani (1969).
Dunque un omaggio a Mario Schifano, che ha lasciato un percorso di nodi molti dei quali devono ancora essere sciolti. Specialmente quelli “legati” al cinema. E’ il segnale dei grandi artisti.