Mauro Rea: stanno cancellando il linguaggio dell'arte in silenzio.

Mauro Rea: stanno cancellando il linguaggio dell'arte in silenzio.

Nato a Sora (FR) nel 1960, vive e lavora ad Avezzano (AQ).

Pitto-Scultore Sabotatore, Nomade per vocazione, è Membro Nelumbico dei Profeti Solitari (Diplomazione Collage de’ Patafisique, Brescia 2002), Vogatore Reverente dell’O.PI.FI.CI.O, Organografo di Pittura Fisica e Operativa (The Big Boss De Nage, Patapart, Napoli 2004). Lavora con materiali di scarto, cartapesta, ferro, rame, cera, e colori sulla riduzione del danno, la cancellazione del fare arte e p/arte nel deserto dell’oggi. Un ricercatore d’oro in un fiume di melma. Continua a fatica a fare arte ironica, polemica, politica, dis-sacratoria, per non morire asfissiato sotto il sole nero della quotidianità. Ha ordinato Personali e Collettive ad Avezzato, Bergamo, Brescia, Bari, Boville Ernica, Basilea, Bologna, Campobasso, Civitella Roveto, Darfo Borio Terme, Lovere, Montecatini, Palermo, Padova, Pontenossa, Milano, Roma.

 

Mauro, partiamo dalle tue origini Napoletane, quanto della tua pittura è figlia delle tue origini?

Mi spiego meglio, stratificazioni del colore, parole, gesti e segni, porterebbero a farci ragionare su una presenza permanente nella "teatralizzazione" tipica dei vesuviani sulle tue tele, mi sbaglio?

 

Assollutamente no.

Mia nonna materna era napoletana, così come tanti miei parenti, ma a parte le lontane parentele "bastarde, Napoli ha sempre catturato la mia curiosità fin da bambino ed è tutt'ora nel mio cuore. 

Le mie origini e il mio modo di fare ed essere non è solo figlio di Napoli,  anche di tante altre cose, di vari luoghi in cui ho sostato e  respirato l'aria che mi ha fatto da substrato nelle scelte artistiche.

Di Napoli ho ricordi sbiaditi di eventi, alcuni anche dolorosi e drammatici, che hanno segnato poi la mia ricerca e la mia vita.

Napoli è Napoli, la città più bella d'Italia, unica, travolgente, coinvolgente, dura, passionale, come la gente, segnata dalla storia e dal tempo.

Napoli è creativa-attiva in tutto, anche il gesto più semplice, il parlare nei vicoli, i rumori dell'essere - esistente diventano suono, suoni naturali e suoni composti nelle strade, dai tanti musicisti che la sera incontri nei vicoli, o fuori dai bar.

Tutto è musica, anche il dramma.

 

Anche il tuo rapporto polimaterico con la superficie, forza maggiore e in maniera anche un poco scontata, mi porta a ragionare su una estetica fortemente diffusa nel tuo territorio d'origine, penso a cose come la forte presenza del tufo; l'eruzione del Vesuvio di 79 d.c., Pompei e molto altro.

Sembra che tu sia fortemente teso a una celebrazione del classico e anche quando omaggi con nomi e rimandi di musicisti partenopei scritti suoi tuoi lavori; dai come la sensazione di volere consegnarli al classico, con una ideale e permanente tensione verso il passato, cosa muove questo tuo approccio ideologico alla pittura?

 

Il mio grande amore per la pittura romana di Pompei si legge nelle mie tele o nei supporti vari, così come la pittura preistorica, fatta a mano come la pasta ammassata dai contadini, ma anche tante oltre cose lottano all'interno dei miei quadri con l'intento di uscire fuori, un dentro-fuori continuo, così come un sussegursi di stati di livello, dove la materia è solo l'inizio, la genesi.

Ma anche la strada, con i suoi segni e simboli, vi vive all'interno o almeno nella mia testa .

Una visone a strati, una dinamica dello sguardo.

La pittura, se è vera, non è mai scontata...

Il materico non è parte principale  del mio lavoro,  è solo una base, una strada accidentata, rugosa, difficile da percorrere, lo diventa solo se riesce ad essere  ostacolo visivo per gente miope, una superficie dove sbatterci la testa e lo sguardo, capace di farti reagire e agire.

La superficie "muta" che non è capace di mutare  le nostre coscienze, i nostri sguardi,  non mi interessa, non so che farne.

Per quanto riguarda  il mettere i nomi di alcuni musicisti, non è certamente la mia finalità consegnarli al classico, tutt'altro, è un segnalare, segnare, omaggiare amici musicisti che ammiro fin da ragazzo; amici, che sono presenza valida e attiva nella nostra quotidianità.

Personaggi che hanno ancora il coraggio di farsi sentire con forza, di nuotare controcorrente.

Poi il tutto è nato per gioco, dalla richiesta del mio amico fraterno Marcello Coleman di disegnargli una copertina per il suo ultimo album che contenesse all'interno il suo nome e il titolo, che ho trovato interessante ed attuale, còsì da farne diventare un'opera, anche se a dirti la verità ho sempre inserito scritte, particolari di scritte pubblicitarie, pezzi di poesie e d altro sui supporti vari che ho usato nel corso degli anni; ero un "digitale" fin già dal Liceo Artistico di Cassino, dove disegnavo dentro le foto riprodotte in serie alla futurista, in bianco e nero, del mio Prof. di Figura Savino Leone e le montavo in movimento con piccoli cambiamenti grafici, volevo insomma inserire il Tempo all'interno di esse.

Cosa che poi ripresi a Bergamo, facendo il discorso inverso, ovvero appiattire la pittura, cancellarla con la macchina riproduttrice.

La cosa, piacque molto al figlio di Cavellini che aveva due gallerie; una a Milano e una a Brescia, ma io come sempre nel corso della mia vita, sono stato un uomo timido e insicuro, un appartato militante, un'eremita, e forse oggi, lo sono ancor di più.

Usi e ti districhi con i nuovi media digitali, li usi come un diffusore del tuo linguaggio manifesto pittorico, ma questi media, che nella metodologia dei processi artistici di questo secolo, costituiscono l'unica vera, grande novità, a disposizione dell'artista, come stanno modificando il tuo linguaggio pittorico?

Non mi dirai che consideri i nuovi media integrati a disposizione dell'artista contemporaneo distanti dal tuo universo pittorico?

 

Una bella domanda.

Io sono un troglodita del web, ma me ne servo, per quel poco che posso prendere.

Adoro la velocità del fare le cose, della conoscenza e del mondo, il potersi vedere e parlare immediatamente, tutto  questo ci ha reso più liberi e non solo in arte, ma bisogna fare attenzione alla grande troppa diffussione di messaggi , troppi  aleatori e falsi. Certamente i nuovi media hanno rivoluzionato il linguaggio dell'arte e della vita tutta.

Ci hanno avvicinato, ma anche allontanati.

Ora basta un clic per essere e non essere più.

Stiamo perdendo la memoria del nostro tempo.

La fisicità delle cose.

Io sono un eremita digitale troglodita, uso e mangio di tutto, ma alla fine resta la mia identità, la mia riflessione in atto, e a volte devo dire non è una bella cosa.

Siamo in caduta libera, e noi artisti dobbiamo rimetterci a capo della rivolta.

Viviamo in un mondo globalizzato, in cui le velocità sono supersoniche e le distanze si sono ridotte in tutto,  un mondo in cui tutto è patina, come la ricerca artistica attuale ( la più).

Un mondo in cui tutto è consacrato all’apparire dei più , dove ai cittadini vengono negati sempre più diritti insieme alla democrazia, così in una condizione di democrazia sospesa, come l'arte stessa.

Si stanno cancellando anni di lotta e di conquiste e noi siamo soli e in silenzio.

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Mimmo Di Caterino

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