A chi non sarebbe piaciuto entrare nello studio di un artista? Varcarne la porta e farsi assalire da un’aria fitta di creatività che in un attimo ci avvolge senza lasciare spazio ai nostri dubbi. Aggirarsi timidamente come qualcuno che si avventura attraverso l’intimità di una persona, guardare gli oggetti e fantasticare sulla loro genesi cercando di estrapolare qualcosa di più sul loro creatore. Sì perché credo che entrare nello studio di un artista sia un po’ come scambiarci una chiacchierata, sia come sapere qualcosa in più della sua arte e riuscire a immaginare altrettanto del suo carattere.
Bene, io nello studio di Alessandro Passerini non ci sono mai entrata ho però avuto la fortuna di potergli porre alcune domande che mi hanno aiutata a capire qualcosa in più sul suo lavoro; ora posso provare a immaginarmelo il suo studio, probabilmente facendomi un’idea solo mia di come potrebbe essere, ma l’arte è uno scambio e come dice lo stesso artista: "Può esistere un proprio punto di vista in cui chi osserva le immagini può ritrovarsi o immedesimarsi, e quindi farli riflettere su altri propri modi di sentire e vedere".
Io me lo vedo ricoperto di immagini, fotografie in bianco e nero e a colori, appese al muro trionfanti ma anche appoggiate una sull’altra come se non ci fosse una linea del tempo tra loro, come se ci potesse essere un ritorno dei soggetti e delle esperienze, come se in ogni momento ognuna di loro potesse reclamare la propria attualità. Montagne sconfinate, animali in libertà e ritratti di donne che si lasciano indagare dall’obiettivo della macchina fotografica: "..si cresce, si evolve, e si torna a fotografar quegli stessi soggetti o altri simili con curiosità ed un sentire arricchito e diverso...", svela Passerini, ".. e di nuovo si scatta qualcosa di nuovo, diverso da quel che si era scattato l'anno prima, perchè si è accumulata più esperienza emotiva e tecnica rispetto agli scatti precedenti. Ovviamente sono affascinato dalle donne, e dalle mille sfaccettature dei loro caratteri. Riuscire poi a ritrarle così come le si vede e sente è doppiamente stimolante, e non ho alcun interesse a ritrarre solo forme aggraziate o stereotipi del genere. Negli ambienti naturali trovo invece un'altro tipo di connessione, un 'ritorno a casa', in un certo senso […] Mi guida l'intuito e la curiosità: mi fido delle sensazioni..."
Sul tavolo insieme alle fotografie campeggiano ieratiche loro, le macchine fotografiche... sì 'le' macchine fotografiche perché vicino a quella professionale si appoggia un'umile compatta che lo accompagna fedelmente permettendogli, data l’agilità del mezzo, di catturare ogni cosa susciti il suo interesse. Più in là, forse un tavolino con delle tazzine da caffè, un angolo per ritagliarsi un momento e capire chi si ha di fronte, chi forse sarà il suo prossimo soggetto, perché come dice lui: "La fotografia è fatta di ritratti. Nessun ritratto è efficace se il fotografo non sa chi sia la persona che ha di fronte, se non ci scambia anche solo una mezzora di chiacchiere per conoscerla e capire come la si vede e sente." E ancora, appoggiati al muro i suoi dipinti dai colori accesi e linee decise che testimoniano il suo essere anche pittore, il suo avvicinarsi all’arte ispirandosi a Depero, Prampolini e ancora prima Toulouse-Lautrec, il suo desiderio di trasformare l’abilità di grafico pubblicitario in qualcosa di nuovo.
Mi dirigo verso l’uscita e accanto a me trovo una pila di locandine del premio “Basilio Cascella” e di quello “Paola Occhi” di cui è direttore artistico ma è solo quando mi volto per chiudere la porta che scorgo con lo sguardo alcune sculture e una maschera teatrale…
Laura Redondi